Per coloro che hanno letto i “Promessi sposi”, l’opera principale di Alessandro Manzoni, con la sua scorrevole prosa purificata e risciacquata nell’Arno, non sarà poi tanto difficile ricordare uno dei personaggi più celebri del romanzo. Parliamo del “Conte Zio”, imparentato con il malvagio Don Rodrigo e suo complice nell’assecondare i piani del signorotto per il rapimento di Lucia, la promessa sposa di Renzo. Un pessimo politico, ma un ottimo tessitore di intrallazzi. Quello che oggi definiremmo un politico politicante, che tutto ignora dell’idealità e dei valori che sono a fondamento del corretto agire politico. Un personaggio, quello manzoniano, al quale nulla sfugge, dell’esercizio del potere, delle pratiche e delle manovre intrise di calcolo e di interessi concreti. Facciamolo descrivere compiutamente riportando pedissequamente le parole dello scrittore milanese: “componente del Consiglio segreto, all’interno del quale ha un certo credito, ma, nel farlo valere, e nel farlo rendere con gli altri, non c’ era suo compagno. Un parlare ambiguo, un tacer significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia; tutto era diretto a quel fine; e tutto, o più o meno, tornava in pro”. Insomma il Conte Zio è un antesignano di quella classe politica che, di questi tempi, potremmo definire come la parte numericamente preponderante del nostro panorama politico e parlamentare. Un politico d’antan che somiglia tanto ai bellimbusti che nei telegiornali della sera recitano per pochi secondi innanzi alle telecamere, durante il pastone giornalistico che la Rai Tv propina ai cittadini ogni santo giorno. Una sequela di parole veloci ed al tempo stesso vacue per illustrare le benemerenze del governo oppure per elargire la critica confezionata dall’opposizione.
È questa la semantica, l’azione politica corrente, verbosa ed inconcludente e somiglia straordinariamente a quella che Manzoni attribuisce al personaggio del suo romanzo. D’altronde se chi ascolta non ha il buon animo di applicarsi ad intendere, oppure non possiede i mezzi culturali per interpretare il significato delle parole, ci troviamo nelle medesime condizioni di semi analfabetismo politico che caratterizzavano la politica nel XVI secolo. Dato quindi per scontato che, di questi tempi, il dibattito politico si anima per bocca di personaggi della levatura del Conte Zio non ci resta che decifrare, per il lettore che ne avesse voglia, gli accadimenti recenti. Tra questi spicca l’attacco al premier Draghi ed al suo governo filo Atlantico, per il tramite di Beppe Grillo che si oppone a Giuseppe Conte. Una lotta sorda ed intestina causa dello ulteriore smottamento del Movimento, diventato un vero e proprio firmamento di polvere di stelle che si va consumando “La nostra vita è un viaggio nell’inverno e nella notte, noi cerchiamo un passaggio dentro un cielo nel quale niente più riluce” scrive Luis Ferdinand Celine, poeta e scrittore francese tra i più grandi del secolo scorso, presentando il suo “Viaggio al termine della notte”. Un pensiero che può riassumere perfettamente lo stato dell’arte del caos nel quale sono precipitati i pentastellati e la loro rappresentanza parlamentare. A ben vedere, la partita che ufficialmente sembra ruotare intorno al nuovo statuto proposto da Conte, ha altri e più reconditi scopi. Non solo si tratta di un abiura della demagogia pentastellata, delle mistificazioni riguardanti la storia della politica ed il valore delle istituzioni parlamentari italiane, un tentativo di imboccare un sentiero moderato piu confacente ad un partito ormai stabilmente al governo, quanto la volontà del comico ligure di non mollare le leve del comando dopo il defenestramento del suo socio Casaleggio. Insomma, fino a quando l’ex premier dei due governi gialloverde (con la Lega) e giallorosso (col Pd) era funzionale all’occupazione di spazi di potere, poteva essere tollerato ed invocato come padre della patria.
Un re travicello che doveva essere mero strumento. Quando è mutata questa condizione e si è insediato un governo con quasi tutti dentro, capeggiato da un super banchiere, il buon Conte ha smarrito l’appeal ed il collante per essere riconosciuto il capo del M5S. Passi che sia andata fuori dal movimento buona parte dell’intendenza, i pesci piccoli e riottosi come Di Battista, Morra, Lezzi ed un cospicuo manipolo di parlamentari “storici”. Poco male. Ora però che il nuovo statuto proposto da Conte prevede democrazia interna ed un partito scalabile dagli iscritti, senza il voto farlocco sulla piattaforma Rousseau, dopo Casaleggio, rischia di andare in soffitta lo stesso Grillo. Una lotta di potere che non ha niente a che spartire con la politica. A Grillo, insomma, serviva un Conte, sì, ma che, ad occhio e croce, doveva somigliare al Conte Zio di Manzoniana memoria.