Che il fumo sia un fattore di rischio neoplasia polmonare è un fattore assodato. Ma che la possibilità che un fumatore incallito si ammali di cancro ai polmoni non è cosa certa. O, per lo meno, non lo è per tutti. A dimostrarlo uno studio che si avvale anche del supporto della ‘Fondazione Airc per la ricerca sul cancro’ che è stato presentato alla 20esima Conferenza mondiale dell’International Association for the Study of Lung Center (IASLC) a Barcellona.
La svolta epocale
La ricerca certifica che “è possibile stabilire in anticipo chi ha maggiori probabilità di sviluppare il cancro ai polmoni e definire il calendario dei controlli e le misure preventive”.
Lo studio
E’ iniziato nel 2013 su circa 4mila persone: 70% dei partecipanti era costituito da forti fumatori con alle spalle in media un pacchetto di sigarette al giorno per circa 30anni e un’età superiore ai 55 anni. La restante parte comprendeva volontari nella fascia d’età 50-55 anni, fumatori di 30 sigarette al giorno, sempre da almeno 30 anni. Tutti sono stati sottoposti alla combinazione LDCT-test miRNA (piccolissime molecole, molto specifiche, che vengono rilasciate precocemente dall’organo aggredito dalla malattia e dal sistema immunitario) eseguita attraverso il semplice prelievo di un campione di sangue.
I risultati
Allo screening con due esami eseguiti in combinazione: una Tac spirale toracica a basso dosaggio di radiazioni (LDCT) e test microRNA sul sangue, il 58% dei partecipanti è risultato negativo a entrambi i controlli ed è stato classificato a rischio basso di tumore del polmone, mentre il 37% è risultato positivo a uno dei due esami (rischio medio). La restante parte equivalente al 5% ha avuto entrambi i valori positivi con un rischio molto più alto di ammalarsi. “La nostra ipotesi di partenza – spiega Ugo Pastorino, direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Toracica di INT e tra gli autori dello studio – era che il rischio di ammalarsi per i forti fumatori non fosse omogeneo, cioè il medesimo per tutti. I risultati ci hanno dato ragione perché sulla base degli esiti della TAC e del test miRNA siamo stati in grado per la prima volta di profilare il rischio di malattia e di definire che, a parità di esposizione, il rischio biologico è diverso”.