Il partito di Checco

Foto Riccardo Antimiani/POOL Ansa/LaPresse 19-03-2021 Roma Politica Conferenza stampa del Presidente del Consiglio Mario Draghi al termine del Consiglio dei Ministri

Sarà la vecchiaia che incombe, col suo retaggio di ricordi e malinconie, intesi e vissuti, edulcorati dallo specchio di un tempo del quale forse preferiamo selezionare il bene, affidando il resto all’oblio. Sarà che, avendo smesso di dare cattivi esempi, cominciamo a dare buoni consigli, rispolverando virtù e saggezza accantonate durante la giovinezza, a causa della lotta sociale, sindacale e politica che ha caratterizzato il secolo scorso. Sarà quel che sarà, ma rispetto a quei tempi, l’oggi sembra essere diventato il luogo di un assordante silenzio. Dopo la rivoluzione farlocca dei sanculotti a cinque stelle, con il loro portato di odio sociale e di scadente moralismo di facciata, sembra, infatti, essere subentrata la stagione del conformismo silente. Tutto quello che accade viene supinamente accettato, come se ci trovassimo innanzi ad uno stato permanente di necessità ed apatia corroborato da un diffuso sentimento di paura e di impotenza che pare essere il peggior danno provocato dalla pandemia (ovviamente dopo l’ecatombe di vittime). Non esistono più valori divergenti. Niente si salva da un unanimismo di maniera che addomestica passioni civili e politiche, opinioni e progetti. Abbiamo un governo di solidarietà nazionale ma che non ha nulla di simile a quello che negli anni Ottanta del ‘900 fu realizzato per fronteggiare il pericolo sanguinario ed eversivo delle brigate rosse. Allora non fu buttata alle ortiche la centralità del Parlamento né furono omologate le divergenze politiche costitutive dei partiti e delle forze sindacali. Nella diversità si costruì l’armonia necessaria per fronteggiare il pericolo, ma ciascuno rimase quel che era, operando nel solco delle proprie tradizioni e delle proprie idee. Oggi, all’opposto, s’ode un sottofondo monotono che rende la politica un unico orizzonte desertico senza passione e senza pregiudizio. Tutto viene pestato nel mortaio dello “stato di necessità”, dell’eterno, incombente regime di calamità. Tutto viene affidato ad un presunto demiurgo come Mario Draghi la cui politica somiglia più a quella di Arnaldo Forlani che a quella di Alcide De Gasperi. Il presidente del Consiglio elargisce prodigalmente sussidi e risarcimenti a piene mani secondo il vecchio andazzo democristiano che nella spesa pubblica vedeva l’equivalente della pioggerellina di maggio, che tutto lascia crescere rigogliosamente in campagna. “Non è tempo di badare ai debiti” dice l’ex numero uno della Banca Centrale Europea: questo è il tempo della leva della spesa. Il resto? lo si vedrà in futuro. Una logica di governo che nulla ha a che vedere con la conduzione efficiente dello Stato e l’ammodernamento dello stesso basato sui principii del buon governo. La montagna di debito che si accumula ulteriormente, grazie alla interessata prodigalità della Bce, tutto al più interesserà i posteri che, in quanto tali, non protestano e non votano, essendo ancora di là da venire. A questo guazzabuglio la gente guarda distratta ed intimorita dal virus e si incolonna pensosa per farsi vaccinare, salvo poi sentirsi dire che le varianti in arrivo renderanno vane (e mendaci) le rassicurazioni che il vaccino sia la panacea di tutti i mali. L’unico stormir di fronde s’ode intorno al lauto banchetto dei 220 miliardi del Recovery Fund ed ai faraonici progetti del correlato piano. Siamo passati dalla teoria del pensiero debole alla mancanza di un pensiero critico, dalla decrescita felice all’interventismo statale che non ha precedenti nella storia della nostra Nazione. Lontani sono anche i tempi dalla logica dell’alternanza al potere, attraverso il sistema maggioritario. Viviamo l’epoca dell’ammucchiata permanente in nome dello “stato di bisogno” in un sistema proporzionale che ci impone l’uso indiscriminato del pallottoliere per costruire una maggioranza di governo degna di questo nome. Non ci sono più urgenze sociali ed occupazionali, politiche di rigore nella spesa e di contenimento del debito pubblico. Un silenzio tombale è calato sulla stagione delle riforme di sistema e sull’aggiornamento della carta costituzionale (per rimuovere ostacoli ed anacronismi dalla vita pubblica italiana). Dove sono finiti i “maître a penser” che analizzavano ogni parola per fustigare, quotidianamente, i vizi e la tirannide berlusconiana? Che tristezza dover constatare che la verve critica sia finita, oggi, nelle mani di Checco Zalone, che ironicamente produce canzoni e filmografia nelle quali mette alla berlina gli italici vizi del posto fisso, dell’opportunismo politico clientelare, del trasformismo di comodo, dello spreco del pubblico danaro. Opere artistiche ironiche, quelle dello straordinario artista pugliese, ma vere, e soprattutto uniche. Non è forse questa la sintesi di una decadenza culturale che affida al comico quello che è tragico? Ed allora che sia il governo di Checco a governare la Nazione.

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