Sono molti gli intellettuali che si sono interrogati sulla difficoltà esistenziale, le vicissitudini del dover vivere con consapevolezza, gli interrogativi che comporta, come dice Cesare Pavese, il “Mestiere di Vivere”. Un mestiere che diventa ancora più complesso, per certi versi pieno di paure, nelle società aperte ed evolute ove il gradiente di libertà e la smisurata gamma delle opzioni di vita, sono quasi illimitate. Non a caso la sociologia è materia molto sviluppata in quanto legata alla comprensione degli eventi e delle frequenti metamorfosi sociali, così come la psicologia e la psichiatria, scienze che studiano i comportamenti umani e le patologie ad esso consustanziali. Sigmund Freud affermava che la civiltà è un incubo. Non sono pochi gli intellettuali e quindi anche i politici di cultura marxista, che hanno addebitato al capitalismo la causa prima e vera di questi scompensi sociali ed esistenziali. L’idea guida è l’alienazione consumistica del capitalismo a cui vanno incontro i singoli soggetti. Insomma: una visione scettica e malevola del regime di libertà incondizionata, garantito dalle società aperte e liberali, attraverso il quale i valori aulici ed essenziali dell’esistenza si deteriorano in bisogni materiali. Non a caso uno dei più illustri esponenti di questo pensiero fu Zigmund Bauman icona dell’intellettualità di sinistra che coniò il termine di società liquida, cioè di una società nella quale il concetto di stabilità e di sicurezza sociale si è ridotto a vantaggio di un regime non protetto di libertà individuale. Ne consegue anche la critica alla globalizzazione intesa come moto caotico di flussi produttivi e di problemi sociali che traggono origine in talune nazioni ma che generano problemi anche in altre. In estrema sintesi, anche il regime di massima libertà può essere strumento di alienazione delle cose che hanno un valore, sostituite dalla rincorsa alle cose che hanno un prezzo. Insomma, a ben valutare, sia pure con riflessioni a carattere generale, si tenta di far risorgere la società programmata ed irregimentata dallo Stato, quest’ultimo inteso come depositario della sicurezza dei cittadini e, sia pure non confessato apertamente, il depositario dei valori stabili ed encomiabili. Un lungo prologo in chiave sociologica per poter riflettere sulla difficoltà che il liberalismo ha di attecchire in larghi strati dell’intellettualità italiana da sempre e di converso, in quegli ambiti politici che ancora oggi idolatrano lo Stato e temono le libertà individuali. Un eterno regime di sospetto verso le capacità individuali e quello che producono. Un nuovo modo per scambiare sicurezza con libertà, collettivo con individuale, Stato con mercato di libera concorrenza, burocrazia con efficienza. Questo modo di pensare in politica potrebbe rivelarsi un inconscio tentativo di far risorgere Marx dalle sue ceneri, rivalutare concetti ed idee dello statalismo come malamente applicati più che intrinsecamente erronei e tragici per la vita degli individui. Vilfredo Pareto, grande economista del secolo scorso, imputava al socialismo una forza attrattiva sulla mente degli uomini in virtù dei principi rassicuranti che essa propugnava. La competizione, il rischio legato all’intraprendere in ambiti non protetti , la selezione meritocratica e l’ammirazione per il valore, sono caratteristiche che generano ansia e frustrazione nella vita dei singoli, perché presuppongono il possesso di talenti, qualità umane ed intellettuali, accettazione della competizione e dei rischi che questa comporta. Insomma, generano invidia e rancore sociale, pregiudizio verso chi eccelle nella vita, oppure produce ricchezza, creando i presupposti esistenziali per essere supini allo Stato. L’eguaglianza delle opportunità propugnata dai liberali, non concede le certezze e le rassicurazioni dell’uguaglianza degli esiti di vita garantiti dallo Stato che ti governa e ti protegge dalla culla alla bara. Nessuno può negare la differenza tra i due sistemi così diversi nei loro presupposti umani e sociali. Di conseguenza ci si può spiegare perché l’Italia da oltre un secolo si trascini dietro governi di sinistra seppure con una maggioranza elettorale dichiaratamente di destra. L’italiano invoca la massima libertà ed insegue agi e benessere individuali ma poi pretende lo Stato assistenziale e clientelare, le certezze e le garanzie del socialismo. Solo così possiamo spiegare, al di là della pochezza culturale ed umana dei singoli protagonisti, l’affermazione e poi il triste, rapido e caotico destino del Movimento Cinque Stelle. La gente voleva spodestare i potenti ma riappropriandosi delle elargizioni statali che la politica politicante garantiva, improvvisamente bloccati dalla politica di rigore nei conti pubblici. Chiamava rivoluzione quello che era il desiderio di ritornare alle sicurezze ed ai redditi statali. I rivoluzionari eletti erano farlocchi almeno quanto gli elettori e partendo dalle cervellotiche idee anti sistema di Casaleggio e di Grillo contro la Casta, si sono ritrovati nelle mani di un impomatato avvocato piccolo borghese. Quel che succede in queste ore ai grillini è la solita storia, una scelta involutiva di coloro che costruiscono un partito sul vecchio presupposto che gli elettori preferiscano la sicurezza sociale al rischio di vivere.