Ho presentato nella bella cornice di piazza Montecitorio il mio libro “Il Liberalismo perduto, alla ricerca del partito che non c’è”. La prefazione è stata affidata alla sapiente penna di Ferdinando Adornato, giornalista, parlamentare, scrittore di libri profetici negli anni Ottanta del secolo scorso, nei quali si prefiguravano l’evolversi del quadro politico ed i ritardi culturali di una sinistra che non aveva colto il segno dei tempi dopo la caduta del muro di Berlino e la fine, finanche tardiva, dell’illusione marxista. Adornato è stato anche editore di “Liberal” il mensile che per circa vent’anni ha segnato la bussola di una rivoluzione liberale affidata, inutilmente, alle mani di Silvio Berlusconi. La presentazione del libro è stata a cura di Carlo Lottieri, fondatore, con Alberto Mingardi e Sergio Ricossa, dell’Istituto Bruno Leoni, pensatoio e divulgatore delle idee e delle tradizioni del liberalismo italiano. Docente a Siena di Dottrina dello Stato, intellettuale liberale a tutto tondo, Lottieri ha saputo trarre dai modesti scritti di chi vi parla – la maggior parte dei quali pubblicati, in passato, sulle colonne di questo stesso giornale – spunti di riflessione di alto pregio e pienamente condivisi dall’uditorio. Quel che però qui interessa è l’essenza delle tesi esposte da Lottieri ma anche da Adornato, sullo stato di salute del Liberalismo in Italia, sulla necessità di una revisione costituzionale che renda la nostra “Magna Carta” attuale ed aggiornata nella seconda parte: quella dell’architettura dello stato e delle sue istituzioni. Insomma sulla situazione in cui versa una nazione che tira a campare, dal punto di vista politico, nella crescente ignoranza (politica) degli elettori e del loro disinteresse innanzi al vuoto pneumatico di idee in grado di riformare ed aggiornare la Nazione . Una critica documentata oltre che serrata, all’improvvisazione ideologica, alla vacuità di una politica che ha accantonato i partiti, le idee fondanti e l’identità dei medesimi. Ancora più amara l’analisi di Adornato che ha individuato l’inizio della fine del Liberalismo fin dai tempi post risorgimentali da parte di una classe dirigente più incline a vendere illusioni e prebende per accaparrarsi i voti di un popolo già refrattario di suo all’idealità, che a definire, in senso liberale, il neonato stato unitario. Insomma l’abbandono delle idee liberali è di vecchia data nel Belpaese. Ed infatti siamo passati da una nazione che già esisteva, per cultura, letteratura, arte e sentimento delle élite, ma non aveva uno Stato ad uno Stato , quello unitario, senza più una nazione. Quest’ultima intesa come spontaneamente scelta e sentita come tale dal diffuso sentimento popolare, a causa della forzata annessione del sud da parte del re sabaudo. E con tale irrisolto problema, quello del Meridione, che ci siamo trascinati dal trasformismo di Agostino Depetris, ai governi guidati da leader sostenuti dai voti clientelari delle popolazioni del Sud e dagli interessi industriali del Nord, ancor prima che il Fascismo mettesse il bavaglio al regime democratico. Un’analisi cruda quanto vera quella sulle cause della mancata spinta riformatrice della classe politica italiana. Una ceto politico che si e’ uniformato alla vocazione levantina di un popolo che da sempre invoca riforme ma che puntualmente le boccia nei referendum confermativi delle riforme medesime. Eppure è passato più di un quarantennio da quando le varie commissioni bicamerali cominciarono a lavorare sulle ipotesi di una revisione della Costituzione partendo dal presupposto che se non si aggiorna la madre di tutte leggi, quelle ordinarie che seguiranno non potranno mai incidere in profondità nel corpo dello Stato per riformarne i gangli vitali. I due illustri anfitrioni hanno anche analizzato il fallimento della rivoluzione liberale berlusconiana che, essendo incentrata intorno ad un soggetto che aveva in antipatia l’organizzazione della politica attraverso il ruolo svolto dei partiti democratici, non poteva che finire nella satrapia di un singolo soggetto circondato da una corte o da cerchi magici. E tuttavia se Atene (il centro destra liberale) ha pianto, Sparta (il centro sinistra statalista) non ha certamente riso, con l’economia condizionata dall’intervento e dai monopoli di un regime statale onnipotente. Questo in estrema sintesi il sunto di un dibattito che andrebbe ripetuto nelle aule parlamentari, diffuso tra i politici che si cingono il capo col serto della moralità spicciola e della novità perpetua. Un dibattito le cui idee andrebbero trasmesse alla gente nell’era della società veloce e digitale, refrattaria alla riflessione, orfana dell’apprendimento scolastico ormai destrutturato. C’è chi ha ipotizzato che nella società dei like e dei click non c’è più modo di trasmettere i “valori”. Forse sarà così. Tuttavia non bisogna demordere a costo di riesumare la tradizione orale con la quale i Greci ed Omero trasmisero ai moderni l’essenza stessa della civiltà.