Dopo i colpi di teatro ai quali abbiamo assistito per la formalizzazione della crisi di Governo in Senato, non credo ci sia persona in Italia che possa prevedere come le istituzioni parlamentari e quel che resta dei partiti, riusciranno ad uscire dall’attuale crisi politica. L’impressione è che sia giunto al capolinea un intero sistema politico, sia per mancanza di un quadro di alleanze chiaro (e coerente col responso dell’urna), sia per i guasti originati da una legge elettorale di stampo proporzionale, frutto delle opinione formatesi, in passato, sulle mistificazioni e sulle accuse rivolte contro il cosiddetto “maggioritario”. È strano come questa norma, varata per gli enti locali (con l’elezione diretta di sindaci e presidenti di giunte provinciali e regionali), negli anni ‘90, sotto la spinta del movimento referendario di Mariotto Segni, non sia mai stata contestata dai politici e dalla gente in generale, risultando, all’opposto, gradita ed apprezzata. Quello stesso sistema maggioritario, infatti, forniva agli elettori la possibilità di potersi scegliere direttamente il capo dell’amministrazione, pescando nel quadro delle varie alleanze presenti. Un sistema che oltre a garantire l’alternanza al potere tra diverse coalizioni di partiti o di civiche, garantiva anche consiliature durevoli. Viceversa lo stesso “maggioritario”, una volta applicato a livello nazionale, ha cominciato a produrre critiche sempre più esacerbate. Prima il Mattarellum poi il cosiddetto Porcellum, sono finiti sotto accusa per la modalità di scelta dei parlamentari e la scomparsa del voto di preferenza. Ovviamente si è trattata di una delle tante esagerazioni prese a pretesto da Grillini e formazioni similari, per delegittimare la classe politica dell’epoca, dipingendo quella legge come un sistema utilizzato dalla casta per difendere se stessa. E tuttavia nell’arco degli ultimi vent’anni, l’applicazione del maggioritario veva assicurato l’alternanza al vertice tra centrodestra e centrosinistra, governi più duraturi e la facoltà del cittadino-elettore di potersi scegliere il candidato premier, la coalizione di governo, il programma elettorale ed il parlamentare attraverso i collegi uninominali. Non era roba da poco!! Passati al proporzionale, ecco sbarcare a palazzo Chigi due formazioni, Lega e M5S, che, in campagna elettorale, avevano chiesto i voti addirittura in contrapposizione netta tra loro: un vero e proprio “colpo di teatro” alle spalle degli elettori. Morale della favola: dopo poco più di un anno, una maggioranza litigiosa e inconcludente, è arrivata al capolinea. Ora, al di là dei fatti specifici e delle giravolte di questo o di quel leader di partito, è l’intero Parlamento ad essere finito in stand-by. Siamo tornati ai conciliaboli di corridoio, alle porte serrate ed a quegli “arcana imperi” di cui Tacito ci parlava per la conservazione e gestione del potere. Il popolo, fatto il suo dovere alle urne, non conta e non sceglie più nulla: gli si dà in pasto allora la riduzione dei parlamentari, la limitazione dello stipendio dei politici. Si rinfocola, cioè, il vecchio schema anti-politico per nascondere lo “scippo” di democrazia fatto agli elettori. Eppure la cosiddetta Seconda Repubblica, nata dopo Tangentopoli, vide la luce proprio grazie al nuovo assetto dovuto alla parziale modifica costituzionale ed al varo del maggioritario. In quei tempi uomini di varia estrazione culturale e politica seppero dare vita ad un vasto movimento di opinione per elaborare e varare le proposte referendarie. Vi fu un contributo trasversale nell’interesse comune di dettare nuove e più opportune regole per meglio far funzionare la democrazia. Sembrano tempi remoti, oggi alcuni di quegli stessi intellettuali, si uniscono col solo intento di sbarrare la strada al truce Salvini ed alle sue truppe lievitate fino intorno al 40% dei consensi nei sondaggi elettorali. Si tratta di un modello collaudato di “allarme democratico”. Un anatema che si scaglia nei confronti di chiunque goda del consenso popolare, di alte percentuali nei sondaggi (come Salvini), sempre per soccorrere una fantomatica “democrazia in pericolo”. È strano che invece, gente di tanto intelletto, non si accorga che il vero pericolo che corre oggi la democrazia, è quella di essere considerata un’inutile e costosa perdita di tempo, inadatta a garantire stabilità e governabilità. I giovani sono oberati dai problemi occupazionali, avviliti da una scuola livellata ed omologata ai minimi termini, da cento intoppi burocratici per chi vuole intraprendere una qualsiasi attività, dai tempi biblici della giustizia, e non hanno né tempo e né voglia di guardare alla politica. Almeno rendiamo loro semplice il sistema elettorale e quello democratico. Si potranno così appassionare alle cose comprensibili, frutto di leggi che lascino agli elettori la capacità di determinare direttamente le scelte già a partire dal voto espresso. Il sonno della ragione genera mostri, facciamolo comprendere a quanti sono esposti ai rischi del futuro. Non assopiamoci.