Pare che Zigmund Bauman sia il sociologo preferito di Massimo D’Alema, politico a tutto tondo, molto sicuro dei propri convincimenti e, come tale, antipatico sia agli incliti che ai profani di scienze politiche. Avendolo citato più volte in alcune interviste, Bauman ha acquistato, in Italia, una certa notorietà tra le fila della sinistra. E’ andato a ruba il suo libro sulla “Società liquida” ovvero sul modello di società in continua e precaria trasformazione, avvinta dalle mode e dalla caduta dei valori fondativi sui quali si è retta nell’ultimo secolo. Bauman descrive questa condizione di precarietà come il frutto di una serie di motivazioni: “le paure che lacerano la società contemporanea nascono dall’indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà con la competizione senza limiti. In un mondo soggetto ai capricci dei poteri economici deregolamentati e senza controlli politici, l’insicurezza aumenta e si diffonde”. Certo il sociologo coglie molti degli aspetti negativi del consumismo capitalistico, dall’induzione dei bisogni attraverso il fascino della propaganda commerciale, al relativismo etico che deriva da questa continua rivoluzione dei costumi. Bauman lamenta che tutto questo sia stato possibile per l’indebolimento dello Stato e della politica. In questo egli si scopre come un nostalgico del socialismo ed un critico del liberalismo, come se i sistemi liberali non fossero disciplinati da limiti e da regole imposte dai governanti. Insomma come se non esistesse il capitalismo ben temperato e tutto fosse lasciato alla “mano invisibile” del mercato di concorrenza come Adamo Smith, aveva immaginato, alla fine del XVI secolo, nel suo libro “la ricchezza delle Nazioni”. Ed è questa critica al capitalismo senza regole che richiama l’attenzione di quanti, orfani del marxismo, ancora immaginano di riformarlo condendolo col socialismo e l’idolatria dello Stato onnipotente. Quindi la critica alla società liquida è esatta nell’esame degli epifenomeni, i fatti in quanto tali, ma profondamente approssimativa nella ricerca delle cause che l’hanno causata. Il liberalismo economico, comunemente detto liberismo, fondato sul libero mercato di concorrenza, è sempre stato esecrato e definito spregiativamente “selvaggio“ dagli ex, neo, vetero e cripto marxisti, per mancanza di basi cognitive dei principii liberali e per l’influenza culturale delle tesi collettiviste. Ne consegue che oggi tutti biasimano la società edonistica e mutevole, soggiogata dai fattori enunciati da Bauman, ma restano divergenti, se non contrapposte, le opinioni sulle cause vere e prime di questa realtà sociale. Sembra questo un discorso per politologi e sociologhi, avulso ed astratto dal ragionamento concreto, riservato agli studiosi e privo di ricadute pratiche sulla politica di chi ci governa. Tuttavia non è così che vanno le cose. Il prevalere di una delle due diverse opinioni sulle cause della società liquida comporta una visione diversa sui modelli socio economici da attuare come forma di indirizzo programmatico per il governo della società. Se in Italia il marxismo si ritiene fallito ma, nel contempo, nei governi che si susseguono, sopravvive la tesi del socialismo e quella di un apparato pubblico pervasivo ed onnipresente in tutti gli ambiti sociali ed economici, è proprio a causa del prevalere dell’opinione che uno Stato forte possa limitare le prerogative ed i diritti dei singoli individui a vantaggio, supposto, della collettività. Ecco quindi il susseguirsi di governi che usano la leva della spesa pubblica a debito crescente, di uno Stato pauperistico ed assistenziale, della sopravvivenza del clientelismo e dell’opportunismo diffuso, che altri non è che l’anticamera della corruzione e degli abusi negli organi e negli enti pubblici. Certo la società liquida rappresenta il continuo caotico divenire, l’attrazione compulsiva per i beni merceologici e superflui, la marginalità dei valori e dei saperi. Ma tutto questo non trova origine nel regime delle libertà e della concorrenza, nel disconoscimento dello Stato come Bauman ed i suoi proseliti ci indicano. Il mercato ha norme ed autority che decidono e regolano il libero scambio. Lo Stato è un “male necessario” ed è per questo che ne vanno limitati i poteri e potenziati quelli rimanenti secondo regole di responsabilità ed efficienza. Parliamoci chiaro: non è colpa del sapone, se c’è gente che non lo usa per l’igiene personale, così come i mali lamentati non dipendono dal liberalismo politico e dal liberismo economico. Il debito pubblico, il fallimento delle iniziative statali (dalla scuola alla sanità) la burocrazia parassitaria e corrotta attraverso la quale lo Stato si organizza, la negazione della famiglia tradizionale, sono le cause. Le vere cause. L’uomo vale poco senza cultura e valori etici. Se la società è senza radici la colpa è dello Stato che le ha fatte recidere.*