Nel tempo in cui i ragazzi non avevano ancora “perso” l’abitudine di leggere, non poteva mancare, tra i loro libri, la trilogia di Italo Calvino composta da “Il cavaliere inesistente”, “Il barone rampante” ed “Il visconte dimezzato”. Quest’ultimo, in particolare, narra la storia del visconte Medardo di Terralba che, combattendo contro i Turchi, viene colpito da una cannonata che ne divide il corpo esattamente a metà. Per paradosso fantastico il grosso proiettile “separa” la parte buona del visconte da quella cattiva lasciando che operino distintamente ed alternativamente. Solo alla fine della favola e grazie all’amore per la donna amata, i due tronconi vengono ricuciti e riportati ad un un’unica persona. La morale del racconto è che l’amore è in grado di riuscire nei compiti più assurdi tenendo insieme gli istinti negativi e quelli positivi dell’animo umano. Purtroppo questi sono eventi che solo in una fiaba possono realizzarsi più che nella vita di tutti i giorni ancorché sia d’insegnamento morale che i sentimenti radicati e forti possano riuscire laddove è finanche impossibile l’idea del mero tentativo. Ora, abbandonando le fantasticherie ed il portato etico che Calvino vuole consegnare al giovane lettore, ci potremmo spostare con i medesimi presupposti nel piano della realtà ed in particolare in quello della politica economica che dal dopoguerra ad oggi ha contraddistinto l’agire dei governi succedutisi alla guida dello Stivale. Anche in questo campo concreto e reale, per precise contingenze storiche e politiche, si è realizzata una netta divisione tra i principi del liberalismo politico ed economico da una parte e quelli dello statalismo socialista dall’altra. Una circostanza, questa, che ha finito con il conferire all’Italia un’ibrida gestione della cosa pubblica. Quest’ultima, a ben guardare, si è rivelata essere la fonte dalla quale hanno poi avuto origine tutti i mali di cui ancora ci si lamenta nel Belpaese. In primis: l’enorme ammontare del debito pubblico frutto della gestione pubblica dei servizi e delle principali istituzioni economiche nazionali. E’ ben strano constatare come, a fronte di ciò, nessuno, ancora oggi abbia voluto perdere tempo nell’analisi dei fattori e delle scelte politiche che hanno dato vita a questo modello ibrido di gestione con tutto il proprio carico di contraddizioni e di guasti sul piano dell’efficienza e dell’efficacia degli interventi pubblici. In molti, infatti, hanno glissato finanche sull’evidenza che nei vari settori in cui lo Stato ha preteso di intervenire con monopoli propri oppure con massicci interventi finanziari, siano state turbate le dinamiche spontanee del libero mercato di concorrenza e persi tutti i benefici che da quel modello socio economico ne discendono. In soldoni: in una società ispirata ai dettami della libertà e della democrazia sono stati del tutto soppiantati i principii della libera iniziativa ed i suoi corollari come la concorrenza, il merito, l’equilibrio economico e l’efficienza delle prestazioni rese agli utenti. Il tutto a vantaggio di una gestione imposta dagli apparati centrali a beneficio dei partiti politici che hanno occupato la “cosa pubblica” rappresentando i loro interessi per realizzare un tornaconto tipicamente clientelare ed elettorale. Ci chiediamo allora: come mai in una nazione ove la fiducia e la considerazione dei cittadini verso il potere centrale è sempre stata scarsa ed insufficiente, gli stessi cittadini hanno poi accettato supinamente che fosse proprio lo Stato a gestire buona parte dell’economia interferendo, in tal senso, pesantemente nella loro vita quotidiana? Ignoranza, opportunismo, indifferenza, tornaconto personale, ideologismo: sono questi i fattori che hanno trasformato un apparato concepito liberale e filo-occidentale in un coacervo gestionale cripto-socialista? Perché al popolo italiano ed alle forze politiche che negli anni lo hanno rappresentato, non è mai interessato quest’aspetto che è poi la causa prima e vera della burocrazia parassitaria, dell’alta tassazione derivante dal debito statale, del diffuso clientelismo, della corruzione, dei servizi pubblici scadenti ed approssimativi? Che non sia convenuto al ceto politico è immaginabile perché solo la gestione statale garantisce ai partiti l’elargizione di prebende, incarichi, scelte e maneggi vari che ne aumentano la resa elettorale. Tuttavia, ci domandiamo: perché non esiste una coscienza ed una consapevolezza civile capace di distinguere gli interessi del cittadino da chi lo rappresenta in Parlamento? Eppure anche la gente più semplice e meno acculturata ben conosce che all’atto pratico, una società è libera solo quando vi prevale il primato della volontaria cooperazione sociale, ossia che i singoli individui possono cooperare per raggiungere liberamente i propri scopi. Il che comporta, in prima battuta, una limitazione del pervasivo intervento dello Stato. Esiste dunque una separazione morale e comportamentale negli italiani che come, Medardo, il visconte dimezzato, sono capaci di intraprendere e prosperare, mostrando la cosiddetta “parte buona”. Però costoro sono altrettanto inclini a subire e tacere innanzi allo Stato interventista e prevaricatore. Facendo prevalere la furbizia ed il disincanto, la “parte cattiva” per sfruttare i vantaggi dello Stato padre e padrone. E via così a tirare a campare.
*ex parlamentare
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