Se c’è una cosa che ha fatto entrare Federico Salvatore nel cuore degli italiani sin dai tempi del Maurizio Costanzo Show, che gli ha permesso di partecipare a testa alta a spettacoli nazionalpopolari come Sanremo e il Festivalbar, è la sua capacità di rappresentare in maniera immediata e ironica la napoletanità e, attraverso di essa, l’umanità intera. Perché sì, il napoletano è maestro nell’arte di arrangiarsi ma a rifletterci bene tutti gli esseri umani, con i loro pregi e i loro difetti, sono nient’altro che macchine da sopravvivenza. Dopo averci fatto ridere con Federico e Salvatore, il cantattore partenopeo ha intrapreso la via dell’impegno sociale e culturale. E in particolare quella della difesa, a volte con toni critici anche verso i suoi concittadini, della cultura campana.
Rivendichi spesso il primato culturale e artistico di Napoli. Dovresti esserne contento.
Il nostro primato ce lo dimentichiamo. E quel che è peggio, lasciamo che se lo dimentichino anche gli altri, con il risultato che la nostra ricchezza culturale e la nostra bravura non vengono valorizzate. I napoletani tendono a scivolare nell’indolenza. Nell’accidia. C’è un personaggio, nel presepe napoletano che rappresenta benissimo questo atteggiamento. E’ quello che nella Cantata dei Pastori di Andrea Perrucci si chiama Benino, il pastore che dorme. Nel linguaggio popolare viene spesso chiamato Benito. Tutti accorrono alla grotta e lui è l’unico che dorme. Qualcuno ci ha visto una rappresentazione dell’indifferenza dell’umanità rispetto alla nascita di Cristo. Io ci vedo la rappresentazione del vizio napoletano di lasciarsi scivolare tutto addosso.
Eppure tu ami la tua città. Come può un popolo così pigro e indolente esprimere tanta bellezza?
E’ una delle nostre mille contraddizioni. Ci facciamo guidare da quella che io chiamo nolontà, che è il contrario della volontà. Eppure appena metti il napoletano fuori dalla città diventa un cittadino esemplare. Non butta le cartacce a terra, lavora come pochi e si distingue sia per la capacità di risolvere problemi pratici che per creatività. Andando in giro ho notato che i napoletani occupano i posti dirigenziali in tutti i settori. Insomma, abbiamo qualcosa che va tirato fuori quando siamo qui. E’ per questo che ritengo sia importante restare.
Accusi spesso i tuoi colleghi artisti di aver svenduto identità e radici. Eppure a Napoli ci sono molti musicisti.
Guarda, a Pino Daniele ho contestato la deriva pop. L’ho detto in più occasioni, per me era il più grande, più di Vasco Rossi. Però nell’ultimo periodo l’ho apprezzato, è tornato alle origini. Su una cosa non eravamo d’accordo. Quando lo incrociai al Festivalbar mi disse “Federì, piglia a chitarra e vattenne a Napule”. Sono contento di essere rimasto, l’ho detto anche in “Napocalisse”. Non lascerò mai la mia città. Bisogna tenere duro e coinvolgere. Continuo a leggere opere del nostro passato e sul nostro passato. Più leggo e più mi convinco che potremmo essere la capitale d’Italia.
Temi che ci sia il rischio di un appiattimento della nostra cultura?
Se non ci svegliamo anche la nostra cultura rischia di svanire, anche perché fuori dalla Campania non fanno certo a gara per far conoscere la nostra bravura. E’ contro questo pericolo che ho voluto lanciare il mio grido di allarme. E guarda caso quando ho cominciato a parlarne in maniera più, tra virgolette, seria, ho avuto l’impressione che qualche porta si chiudesse. Abbiamo già parlato della canzone che portai a Sanremo, “Sulla porta”, parlando del tema dell’omosessualità quando lo facevano in pochi.
E allora? Vuoi mollare?
Per carità. Mollare mai. Dobbiamo continuare a tenere alto il vessillo della nostra cultura. Siamo sempre stati in grado di indicare la strada agli altri, in campo artistico e musicale. Ora in cantiere diversi nuovi progetti, nella musica, nel teatro e anche nella poesia.
Cominciamo dalla musica.
Dalla musica e dal teatro. Sto lavorando a un nuovo album che uscirà a breve. Si chiamerà Malalengua. Confluirà in uno spettacolo teatrale che avrà lo stesso titolo e che dovrebbe partire a gennaio, con debutto al teatro Lendi di Sant’Arpino, in provincia di Caserta. Il 9, 10 e 11 gennaio. Tra l’altro uno dei brani, Ecce Napoli, riprende proprio il tema di cui parlavamo. Quello della Napoli svenduta, sventrata, violentata mentre il popolo dorme.
Raccontaci di cosa parla.
Non voglio anticipare troppo, è un testo intuitivo, per quanto impegnato. Mi piace farmi capire. E poi il messaggio sarebbe meno efficace se fosse poco comprensibile. Il senso si capisce già dal titolo: “Ecce Napoli”. Parlo del business della Terra dei fuochi, di quello del cemento, delle nostre miserie, delle nostre ricchezze e di chi ha mangiato sulle prime e sulle seconde. E naturalmente parlo di noi e a noi perché, nonostante tutto, sono ancora convinto che ne valga la pena.
Parlavi anche di poesia.
Sì, quello è un altro bel progetto. Molti avranno sentito parlare dell’”Inferno della poesia napoletana. Versi proibiti di poeti di ogni tempo”, edito da Adriano Gallina Editore e a cura di Angelo Manna. Una raccolta di poesie erotiche e versi proibiti. Bene. Con Giuseppe Gallina sto lavorando alla seconda puntata, diciamo così, che si chiamerà “Inferno della Poesia Napoletana Secondo (Federico Salvatore)”, con testi miei e di altri autori contemporanei. Ci sarà un libro e un CD, in cui reciterò appunto le poesie contenute nel libro. E’ un progetto che mi riempie di orgoglio e che mi diverte allo stesso tempo.