L’inflazione continua a erodere il potere d’acquisto degli italiani, e inizia a farsi sentire sui consumi alimentari. E’ la fotografia scattata dall’Istat nel suo resoconto sulle vendite al dettaglio a settembre.
Su base mensile, le vendite crescono dello 0,5% in valore, scontando l’aumento dei prezzi, ma restano di fatto invariate in volume. Di fatto, si spende di più per comprare la stessa quantità di beni. Ma la criticità della situazione emerge allargando ulteriormente la scala temporale. Infatti, su base trimestrale si registra una crescita dell’1,2% in valore e un calo dello 0,5% in volume, mentre su base annua le vendite segnano +4,1% in valore e calano del 2,7% in volume.
In particolare, anche su base mensile, cresce la spesa per generi alimentari (+0,8%) ma calano i volumi degli acquisti (-0,2%), che ampliando lo sguardo su base annua segnano un +6,8% in valore e un preoccupante -4,5% in volume. Una situazione che spinge i consumatori a ridurre le loro compere, ma anche a abbassare la qualità della spesa. Sottolineando l’aumento delle vendite nei discount, la Coldiretti sottolinea “la difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che, spinte dai rincari, orientano le proprie spese su canali a basso prezzo rinunciando anche alla qualità”. Confesercenti definisce la crescita delle vendite “un’illusione ottica” dettata dal caro-energia, in un contesto che “non può non destare preoccupazione in vista del prossimo Natale”. Infine, Confcommercio vede rischi per la crescita 2023 dai probabili “atteggiamenti più prudenti” degli italiani di qui ai prossimi mesi.
E anche le associazioni dei consumatori lanciano l’allarme. Per Assoutenti i dati dell’Istat sono “preoccupanti”, e rendono indispensabile un intervento del governo sull’Iva sui generi alimentari. Dal canto suo, l’Unione Nazionale Consumatori invita a detassare la tredicesima e a prevedere nuovi sostegni al reddito per le fasce sociali meno abbienti.
Di Michele Mastandrea