La confessione di Walter Schiavone: “Da Ogaristi lo stipendio del clan”

Le somme incassate dal 2013 al 2014 per la detenzione del papà e del fratello Nicola al 41bis: “Ma mai preso denaro da Venosa”

CASAL DI PRINCIPE – Non è un collaboratore di giustizia. Non ha intenzione di ‘vuotare il sacco’. Ma ha scelto comunque di mettere chilometri e chilometri di distanza tra lui e il clan: il 40enne Walter Schiavone ha accettato il programma di protezione offertogli dallo Stato dopo il pentimento del fratello Nicola. Ha seguito la mamma Giuseppina Nappa e le sorelle: adesso la vita da ‘eredi criminali’ è diventata un ricordo. Nonostante la lontananza da Casal di Principe, la città che per anni ha rappresentato il loro fortino, nonostante il rigetto delle logiche mafiose, i legami con la cosca nei processi continuano ad emergere. E in uno dove Walter è coinvolto direttamente, pur non essendo formalmente un collaboratore, ha scelto di parlare, di chiarire le accuse che gli contesta la Dda di Napoli.

Per l’Antimafia tra il 2014 e il 2015 ha ricevuto da Raffaele Venosa uno stipendio mensile prelevato dalle casse del clan, soldi che l’organizzazione aveva a disposizione grazie ai proventi del traffico di droga e delle estorsioni. Da imputato Walter, però, ha sostenuto di non aver mai ricevuto soldi né da Venosa né da Giuseppe Verrone, come dice la Procura. E non li avrebbe mai potuti incassare da loro anche per i trascorsi non idilliaci tra la sua famiglia è quella di Luigi ‘o cocchiere (storico capo dei Venosa). Tuttavia ha ammesso di aver ricevuto ‘la mesata’, agli inizi del 2013, una volta da Alberto Ogaristi, 6mila euro, e tre volte da Crescenzo Cristiano, 2mila euro ogni versamento, fino ai primi mesi del 2014. Denaro che lui non aveva chiesto, ma che gli affiliati del clan gli diedero, ha spiegato, per la detenzione al 41 bis del padre Francesco e del fratello Nicola. Una confessione, quella di Walter, a tutti gli effetti. Ha confessato ed ha accusato. Ed infatti a conclusione dell’interrogatorio reso in aula, martedì scorso il pm Vincenzo Ranieri ha chiesto di integrare il capo d’imputazione a suo carico inserendo proprio le circostanze riferite in aula.

Non è un pentito e pure accettando di tagliare i ponti con la sua vita da Casalese non vuole seguire le orme del fratello maggiore. Ma nel corso del processo a Napoli ha deciso di fare i nomi e cognomi. E la speranza è che continui a rivelarli. Il suo potrebbe essere un contributo fondamentale nella lotta alla mafia, perché a differenza di Nicola (che è stato al 41 bis dal 2010 al 2018), fino a pochi anni fa ha vissuto il territorio da uomo libero. Sa il clan cosa è diventato e sa in che cosa si sta trasformando.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome