La corda di Lenin

L’esplodere, negli anni Novanta del secolo scorso, di “Tangentopoli”, l’inchiesta giudiziaria sul finanziamento occulto ai partiti, ha alimentato, per anni, la cronaca politica italiana. A farne le spese furono innanzitutto la Democrazia cristiana ed i partiti laici socialisti, primo tra tutti il Psi di Bettino Craxi. Quest’ultimo subì pesanti condanne che lo costrinsero a riparare ad Hammamet, in Tunisia, dove potè godere della protezione del governo dell’epoca, retto da Zine El-Abidine Ben Ali.

In quegli anni un team di magistrati della procura milanese, tra i quali svettava Antonio di Pietro (successivamente dimessosi per fondare un partito politico, l’Italia dei Valori), utilizzò le dichiarazioni di un dirigente socialista, preso con le mani nel sacco per una tangente: Mario Chiesa. Costui svelò agli inquirenti il meccanismo illecito attraverso il quale il partito del garofano si finanziava. Le indagini si allargarono a macchia d’olio fino a coinvolgere tutti i principali partiti di governo, con i relativi apparati dirigenti e, con essi, l’esistenza stessa di quelle forze politiche.

Ad onor del vero le successive indagini, come i grani di un rosario, investirono anche il principale partito di opposizione, il Pci, che ne restò invischiato a livello locale senza che però lo scandalo colpisse i vertici di Botteghe oscure. Gli storici svelarono, successivamente, che anche il partito comunista aveva ricevuto – insieme alle tangenti – finanziamenti “occulti”, direttamente dal Pcus, il partito comunista sovietico, fin dai tempi della “guerra fredda”, quel conflitto mai dichiarato con le armi ma che pure Usa ed Ursss combatterono per il predominio geo-politico mondiale.

Tuttavia i partiti di sinistra la fecero sostanzialmente franca, ancorché anch’essi dovettero cambiare la forma di partito nel giro di pochi anni. A seguito dello scandalo si verificò, infatti, un vero e proprio stravolgimento politico e partitico necessitato dalle leggi che il Parlamento adottò sotto la spinta della protesta popolare. Prima tra queste la legge elettorale maggioritaria e poi quella sul finanziamento pubblico ai partiti. Il sistema maggioritario sovvertì le regole del gioco, inducendo i partiti a costruire coalizioni per accaparrarsi il premio di maggioranza espresso in seggi parlamentari. Nacque in quei frangenti il bipolarismo che fece giustizia delle singole identità partitiche ed in un certo qual modo portò a sintesi anche i valori di riferimento e le identità politiche in campo.

Caddero, per volontà di un Parlamento sotto scacco del moralismo e della vena giustizialista (che pervadeva le rigenerate forze politiche), anche le garanzie costituzionali per deputati e senatori. Garanzie bollate come “privilegio” di una casta immune dai rigori della legge ed incline ai traffici illeciti. Un errore madornale che negli anni la politica avrebbe scontato amaramente soccombendo all’emergere del potere della magistratura chiamata a garantire un’azione moralizzatrice delle pratiche politiche, fino a diventare essa stessa un elemento sostitutivo del potere decisionale del Parlamento. L’essere rimasta l’unico potere munito delle garanzie costituzionali, ha consentito, infatti, alla magistratura di svolgere compiti e ruoli straordinari, di per se stessi sostitutivi dell’azione politica.

Non vi fu legge che non fosse prima valutata e commentata dall’Associazione nazionale magistrati, soprattutto dalla sua componente politicizzata di sinistra (Magistratura democratica), prima di essere votata conformemente dalle Aule di Camera e Senato. Sospette e colluse con il malaffare furono dichiarate tutte le posizioni alternative a questa cessione della sovranità popolare e parlamentare. La vocazione levantina del popolo italiano e l’abilità di addossare agli altri (al sistema politico) l’origine della immoralità è ancora largamente in uso oggi nel Belpaese dove primeggia, al posto di quella tanto decantata (e mai vista) rivoluzione delle coscienze e del consapevole ed onesto esercizio della cittadinanza, virtù ancora ignote alla maggioranza degli italiani, la ricerca di un capro espiatorio. E’ apparsa di recente la notizia che un’azienda americana, la Social changes, avrebbe foraggiato alcuni candidati della sinistra italiana, del Pd in particolare, e la conseguente politica.

Non si capisce da dove siano arrivati quei soldi. Quello che però colpisce di questa storia è come mai i nostri vecchi moralisti e gli stessi magistrati non se ne siano interessati come fecero, all’opposto, per la Fondazione di Matteo Renzi. Siamo alle solite con lo strabismo politico giudiziario. Sovviene l’aneddoto secondo il quale fu chiesto a Lenin, durante la rivoluzione bolscevica, come avrebbero potuto comprare tanta corda per impiccare tutti i nemici della rivoluzione. La risposta del leader fu lapidaria e beffarda: semplice, coi soldi che ci daranno i capitalisti.

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