La fuga del boss in Romania per provare a lasciare il clan dei Casalesi

'Capastorta' si mise alle spalle l’Italia per sottrarsi al possibile scontro con i Bidognetti. Vicino all’ala bardelliniana, sarebbe stato aiutato da De Angelis e dai Capoluongo a mettere radici nell’Europa centro-orientale

Michele Zagaria, Antonio Bardellino e Nicola Schiavone

CASAPESENNA – Voleva lasciare il clan dei Casalesi: Michele Zagaria Capastorta non era intenzionato a partecipare all’ennesima faida che stava per scoppiare. Gli strascichi dello scontro con i bardelliniani erano ancora forti e all’orizzonte c’era un possibile scontro tra gli Schiavone e i Bidognetti. Ci sarebbe stato (e ci fu) altro sangue. E così, negli anni Novanta, decise di raggiungere la Romania.

A raccontare questo spaccato di vita criminale di quello che sarebbe diventato il boss di Casapesenna, in grado di sostenere una latitanza lunga 16 anni (interrotta nel dicembre 2011), è stato Nicola Schiavone, collaboratore di giustizia dal 2018 e primogenito del capoclan Francesco Sandokan.

Ad aiutare Zagaria a mettere tende in Romania, stando a quanto riferito da Nicola Schiavone, sarebbe stato tale Gennaro De Angelis: “Era un altro amico dei Bardellino – ha dichiarato il pentito – e frequentava i Capoluongo”, ovvero i fratelli Giacomo e Maurizio che pure supportarono il casapesennese in questa scelta ‘estera’. “Michele – ha rimarcato il primogenito di Sandokan – quando andò via dall’Italia per recarsi in Romania aveva chiuso con la malavita e non voleva tornare. Mio padre lo mandò a chiamare tramite loro (i fratelli Capoluongo, ndr). Disse: ‘Tu non puoi andartene, dove sei? Ritorna e mettiti qua’. E lo mise al fianco di Antonione, di Sabatino, mio cugino. Quindi – ha chiarito Schiavone – lo fece rientrare facendolo diventare capozona di Villa Literno, poi lo mise a Caserta, fra i cantieri”.
Capastorta gradualmente iniziò ad espandere la sua sfera di competenza malavitosa. E se riuscì a piantare le sue radici mafiose pure a Trentola Ducenta, ha riferito il collaboratore di giustizia, fu anche grazie a Giacomo Capoluongo: “Strinse rapporti di forte amicizia con i Balivo, con Falco del Jambo grazie a Giacomino”. E proprio “Giacomino – ha aggiunto – ha creato appoggi a Michele durante la latitanza: in Costarica, poi in Australia, dove sono stati assieme. Andarono a vedere le corse delle auto”.

Il tentativo di Zagaria di mollare la mafia fallì clamorosamente. Capastorta tornò nell’Agro aversano dove ha ucciso e ordinato omicidi, dove ha partecipato al business illegale dei rifiuti, investito il denaro sporco nel cemento e in svariate aziende, dove si è inserito brutalmente nel mondo politico e piegato il libero mercato con la violenza per favorire i suoi imprenditori amici. Ed ora è in carcere dove trascorrerà, al netto di sorprese, il resto dei suoi giorni. Ma quell’esperienza fatta negli anni Novanta, probabilmente, gli ha lasciato una traccia forte: anche dall’Italia, seppur non in prima persona, ha continuato a coltivare ‘l’amore’ per la Romania. E in questa nazione dell’Europa centro-orientale, infatti, stando a quanto sostenuto dalla Dda, inviò Nicola Inquieto (condannato per associazione mafiosa), per investire il proprio denaro.

Romania a parte, la storia raccontata dal collaboratore di giustizia dimostra anche una particolare vicinanza di Zagaria all’ala bardelliniana, legame che aveva provato a sfruttare nel 2010 quando richiamò in provincia di Caserta Antonio Salzillo, nipote del boss Antonio Bardellino, per indebolire proprio la leadership di Nicola Schiavone con cui era ad un passo dall’entrare in guerra. E Schiavone reagì a questa mossa facendo uccidere Salzillo mentre con la sua auto attraversava il territorio di Cancello Arnone.

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