La politica scappa dalle elezioni. Scappa da noi. Dalla democrazia. Rinuncia al suo ruolo di rappresentanza, china com’è sull’unico problema che le interessa: salvare la pagnotta. Consci del fatto che la fiducia degli elettori ha raggiunto il punto più basso nella storia del nostro Paese, gli alti strateghi di destra, sinistra e tutto ciò che sta nel mezzo hanno capito che mostrare in giro il simbolo del proprio partito oggi può portare più svantaggi che vantaggi.
Il centrodestra, Lega e Forza Italia in testa, teme la figuraccia a Napoli. Ma anche a Benevento e a Caserta l’imbarazzo è tangibile. Nel Sannio la scelta di Clemente Mastella è stata travagliata e divisiva, in Terra di Lavoro il sostegno a Gianpiero Zinzi è arrivato soltanto ieri, al termine di una gestazione incredibilmente lunga. E lo stesso dicasi per Michele Sarno a Salerno, ufficializzato insieme al consigliere regionale leghista.
Il Movimento 5 Stelle, o almeno chi lo manovra da dietro le quinte, è terrorizzato. Il flop è considerato inevitabile e si cerca di salvare almeno le apparenze. Si parla di “confronti”, di “riflessioni”, ma l’elettorato è tagliato fuori, meno sa meglio è, con buona pace dei proclami di trasparenza e partecipazione dei tempi d’oro. In Campania quasi dappertutto è stata scelta l’alleanza strategica con il Pd, l’ex “piovra”, l’ex “partito di Bibbiano”, l’ex “Pdmenoelle”. Ma c’è il fuggi fuggi dei peones e comporre le liste sarà arduo.
Italia Viva, naturalmente, non è pervenuta. Un partito creato dall’alto e all’interno del Parlamento da Matteo Renzi, quello che 5 anni fa aveva promesso di lasciare la politica. Lasciata perdere Napoli, a quanto pare a Benevento il fenomeno di Rignano andrà a braccetto con Forza Italia e con i deluchiani. A Caserta, quello con Marino è sempre stato un rapporto semiclandestino. Gli unici che sembrano non avere problemi a metterci la faccia sono quelli del Partito Democratico. Ma si sa, il termine “tafazzismo” è utilizzato per indicare il masochismo che ne determina spesso le scelte.