La scomparsa dei partiti

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Credo sia inutile ribadire, ancora una volta, lo stato comatoso in cui versa la politica italiana. Intendiamoci: non mi riferisco all’esercizio del governare la nazione , all’amministrare Regioni, Province, Città e Comuni oppure al ruolo legislativo svolto dal  Parlamento. Nossignore. Parlo di politica nell’accezione pura del termine: vale a dire assicurare il governo delle cose ed i programmi per realizzarle, con l’ausilio dei partiti che fungono da mediatori con gli elettori, questi poi decidono, democraticamente, chi sarà legittimato a gestire il potere. I padri costituenti vollero i partiti non soggetti a nessun controllo estraneo, neanche a quello della giurisdizione tantomeno agli altri poteri costituiti.

Fu così che semplici associazioni private, per le quali bastava un atto costitutivo innanzi ad un notaio, uno statuto  pensato su base democratica per la scelta della classe dirigente, a detenere l’iniziativa politica. Crebbero le organizzazioni sul territorio alle quali aderivano, liberamente, i cittadini che ne condividevano l’ideologia, i valori e la storia. Un bagaglio semplice ed assolutamente autonomo posto sulle spalle dei neonati  movimenti politici, dopo la tragica ventennale dittatura del Fascismo. Tuttavia, pur essendo semplici associazioni, le forze politiche hanno recitato, nel dopoguerra, appieno la funzione di mediazione tra popolo ed istituzioni, edificando un modello di Stato conformato ai valori di libertà e tutela dei diritti civili. Il potere dei partiti stessi si accresceva ogni qualvolta aumentava il consenso elettorale, in forza del quale erano legittimati a gestire il potere dello Stato. In questo clima sorsero, nel contempo, anche le forze sindacali, le associazioni di settore, professionali e di categoria. Insomma una democrazia plurale e rappresentativa della volontà popolare che offriva al cittadino una vasta e variegata scelta politica. La stessa vita interna dei partiti si alimentava su basi democratiche e di confronto, anche sotto forma di correnti interne, arricchendo in tal modo il dibattito e le decisioni. Assisi congressuali, a cadenza stabilita dallo statuto, determinavano la rotta della politica del partito, che, agli albori della vita repubblicana, venne anche condizionata da influenze esterne.

Queste ultime legate ai fattori geo politici, alla scelta tra i due grandi blocchi liberali e marxisti, che si contrastavano e si contendevano il primato sullo scacchiere mondiale. Una situazione che influenzò non poco la politica nazionale determinando, per riflesso, la mancata e fisiologica alternanza al potere. L’Italia fu collocata, sul versante delle democrazie liberali occidentali, ed i partiti che operarono quella scelta restarono al governo quasi ininterrottamente per scongiurare l’avvento delle forze di ispirazione marxista con a capo il partito comunista italiano, il più forte ed il più votato d’Europa, che spingeva in direzione diametralmente opposta, ossia verso il blocco Sovietico dell’Est. Se questo fu un alibi, oppure una necessità politica contingente, quella che impedì l’accesso al governo del PCI, saprà dirlo solo la Storia con adeguata chiarezza. Fatto sta che i partiti di governo, collocati sul versante liberale, atlantico ed occidentale, detennero il potere per circa mezzo secolo, finendo per identificarsi con il medesimo, creando in tal modo un vero e proprio blocco di potere. Le conseguenze di questa anomalia politica fu l’ingessatura del sistema politico – istituzionale e la trasformazione di taluni partiti nei perenni depositari del governo. Crebbe così una partitocrazia invadente e monotona che occupo’ stabilmente i gangli dello Stato, finendo per identificarvisi, alimentando gruppi di potere cristallizzati, ma anche corruzione e clientele, oltre che la protervia di chi si ritiene unico ed insostituibile. Con la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo vennero meno i presupposti  politici che avevano reso possibile l’eterno dominio dei partiti di governo. Simil stabunt simil cadent, le cose che stanno insieme cadono insieme, così la tesi e l’antitesi politica.

Segui’ lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli, sul finanziamento illecito ai movimenti politici che, in combinato disposto con la fine del nemico storico marxista, determinò la fine sia dei blocchi contrapposti che della eterno monopolio partitocratico. Fu connesso, in quel frangente, l’errore di buttar via sia l’acqua sporca che il bambino, la patitocrazia ed i partiti stessi. Da quel retaggio arriviamo ai giorni nostri. Lo sfascio delle forze politiche è sotto gli occhi di tutti. Uno sfascio generale al quale concorsero anche le numerose leggi elettorali, la fine del sistema maggioritario e delle coalizioni che erano sorte per contingente e necessitata sintesi. Ci ritroviamo, oggi, con i simulacri dei partiti politici di un tempo, ormai plastificati e personalizzati, vere e proprie ditte intestate ai nominalismi, ossia ai nomi dei leader di turno. Una bailamme che ha allontanato per decenni gli elettori dalle urne, aumentato la sfiducia nelle forze politiche e più in generale nella politica stessa, intesa come nobile strumento di mediazione e sintesi democratica. Basta  guardare chi siano stati i protagonisti di queste ultime elezioni amministrative per rendersene conto. Alzi la mano chi sa discernere quale sia l’orientamento politico uscito vincente.

Scomparsi quasi del tutto i simboli dei partiti, è sorta un’orgia di liste civiche ed autoreferenziali, spesso frutto di accordi estemporanei tra gli aspiranti concorrenti, senza né capo né coda. A quali valori e programmi si ispirino queste liste civiche non è dato sapere. E’ legittimo pensare che a prevalere siano state le ambizioni personali e gli interessi sottaciuti, le comunelle di affaristi e piccoli trafficanti. Si insedieranno civici consessi zeppi di “parvenu” nella veste di improvvisati amministratori a digiuno di conoscenza ed esperienza, che, peraltro, denegano l’appartenenza ad idealità e riferimenti e matrici di natura politica. Insomma Siamo giunti all’apoteosi del fai date, l’apologia del caso e della necessità, la silenziosa morte della politica.

*già parlamentare
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