“In politica si può scegliere dove collocarsi secondo due diversi modi: per contenuti o per schieramento”. Era questa l’idea che Ugo La Malfa, segretario del partito repubblicano italiano, manifestava negli anni Settanta del secolo scorso. Le sue sembravano parole condite col cinismo alle orecchie di una generazione che viveva la politica attraverso la militanza e l’impegno nei partiti scelti in gioventù. Partiti, si badi bene, strutturati ed organizzati su base democratica, la cui linea poteva essere cambiata solo attraverso un congresso nazionale con il coinvolgimento di tutta la classe dirigente e la rappresentanza degli iscritti. Erano, quelli, dei grandi eventi, seguiti dagli organi di informazione, nel corso dei quali tenevano banco i dibattiti ed i confronti oratori. Roba seria insomma, con scelte ponderate che richiamavano non solo la situazione politica contingente ma anche i valori ideologici di riferimento e consustanziali al proprio partito politico. Nulla a che vedere con i partiti di plastica (e personalizzati) che oggi hanno occupato il vuoto culturale (e quello lasciato dalla sparizione del primato della politica), sostituendolo con il leaderismo ed il variegato e luccicante mondo del marketing, dei nani e delle ballerine. Oggi l’affermazione di La Malfa non avrebbe senso perché di contenuti, di programmatico e di ideale, non c’è più nulla. Non resta che l’opportunismo dello scegliere, dopo il voto, l’estemporaneo aggregato di potere al quale associarsi. La legge elettorale proporzionale ha accentuato quest’ultimo aspetto, conferendo ai partiti una delega in bianco, cancellando la possibilità per l’elettore di poter determinare, direttamente, con il proprio voto, la maggioranza di governo ed il primo ministro individuato nel capo della coalizione vincitrice. Se questo, purtroppo, è il contesto politico nel quale ci si deve muovere nel Belpaese, non deve meravigliare che anche ogni ipotesi di rilancio della vera politica e delle forze partitiche gestite su base democratica passi per quella sola ed unica scelta. Sì, perché se tutto resta com’è, sarà l’opzione opportunistica di uno schieramento la stella polare che poi orienterà i partiti o quel che di loro rimane. Viceversa se il seme del cambiamento ed i fermenti che si colgono in sottofondo, sono quelli di voler rilanciare le forze politiche in quanto tali, allora saranno i contenuti a farla da discrimine nelle scelte presenti e future. E sarebbe un’ipotesi, questa, anche coerente rispetto alla constatazione che pur essendosi formati nuovi partiti negli ultimi anni per scelta e non per contenuti, questi sono agonizzanti così come quelli comparsi sulle scene fin dagli inizi della cosiddetta “Seconda Repubblica”. Tuttavia questi segnali di insofferenza e di instabilità nel panorama politico nazionale non sono nuovi. Spesso si sono colti anche in altri frangenti, alla vigilia delle scadenze elettorali, finiti poi nel nulla. A cominciare dalla costituzione del famoso “grande centro” di cui per anni si è vagheggiato e che avrebbe dovuto mettere insieme tutte le anime moderate del corpo elettorale. Lo stesso fu per il “partito della Nazione” che doveva mettere insieme i riformisti italiani di qualunque provenienza politica essi fossero, per dare vita alla stagione delle eternamente annunciate riforme di sistema. In un contesto politico tanto ingarbugliato si inserisce anche la contingente elezione del nuovo Capo dello Stato e dei mille giochi ad essa collegati. Il primo ad aver “annusato” l’esigenza della riorganizzazione di un polo centrista, che ripercorra le tappe di una futura federazione tra forze omogenee culturalmente, è stato Clemente Mastella, scafato politico democristiano. La convention “Noi di centro” tenuta a Roma, con Mastella principale mattatore, segna, infatti, proprio la nascita del primo tassello di quell’ipotizzato futuro mosaico del partito moderato. Non è un caso che sia stato un ex Dc a muoversi. D’altronde, un tempo, nello “scudo crociato”, si veniva pesati sulla base del consenso elettorale ottenuto. Da qui la posizione del sindaco di Benevento il quale ha posto il problema di scegliere e rispettare proprio quel consenso per la gestione dell’organizzazione politica di turno. La via tracciata? E’ quella di aggregarsi per contenuti e visione comune, collocando poi ai vertici della formazione politica non bellimbusti o plutocrati ma uomini scelti, appunto, per capacità di consenso ricevuto. Sono molti ad aver trattato con sufficienza ed ironia l’uomo di Ceppaloni per le sue molteplici vicissitudini politiche. Credo però che Egli oggi abbia dato una lezione di chiarezza politica a molti professori senza cattedra e senza nerbo.