A coloro che negli anni passati si mostravano preoccupati per il continuo attacco alle istituzioni proposto dai movimenti extraparlamentari, fu risposto che la democrazia parlamentare era ben radicata in Italia e che non correva pericoli. Eppure, mediante il sapiente, programmato, uso della rete social, il M5S, in tutti questi anni, ha continuato a far proseliti accreditando un’idea della democrazia parlamentare falsa e distorta, fonte, essa stessa, di una presunta dilagante corruzione nonché della pessima selezione della classe dirigente.
Aiutata dalla diffusione di fake news, propalate ad arte ed amplificate dalla rete, la vulgata divenne che il corrotto Parlamento – da aprirsi come una scatola di tonno – doveva essere rimpiazzato dall’idea più sbrigativa di “democrazia assembleare”. Un metodo decisionale che attingeva direttamente dal popolo e da attuarsi mediante la continua, perpetua consultazione del popolo stesso attraverso la rete dei social.
Insomma: una specie di colossale telequiz mediante il quale si sarebbe potuta governare direttamente una Nazione industrializzata di oltre sessanta milioni di persone insieme con tutti i loro problemi. Non ci fu verso di far ragionare sull’assurdità dell’idea e della necessità di mantenere salde quelle istituzioni e le relative prassi politiche che ci avevano mantenuto nell’ambito delle democrazie occidentali.
I risultati di quella dabbenaggine collettiva cominciano a vedersi oggi, con una classe dirigente abbastanza più scadente di quella precedente e con un Parlamento ormai ridotto ad un insieme vuoto. Eppure in quelle Aule da 150 anni risiede la volontà e la sovranità popolare, espressa attraverso il libero voto, e chiunque ne limiti facoltà e prerogative, si macchia di un enorme crimine politico, una violazione della Costituzione Repubblicana che tiene insieme popolo e democrazia e garantisce la pace sociale. Non oso credere che l’illusione di percepire il reddito di cittadinanza spinga il popolo a ritenere superflue le discussioni circa la democrazia ed il Parlamento, a scegliere la convenienza della pancia piena sulle prerogative che investono la capacità di poter determinare le scelte di Governo e Parlamento.
Le recentissime vicende del decreto fiscale, la silenziosa ritirata ed i tagli imposti da Bruxelles al documento predisposto dal Governo, hanno reso risibili e grotteschi i discorsi baldanzosi e minacciosi proferiti contro la UE, da Leghisti e Grillini. In questo clima di incertezza, confusione ed approssimazione dei conti dello Stato da presentare al Parlamento, per l’approvazione, si è dimostrata per intero la condizione di emarginazione del ruolo e delle funzioni del Parlamento stesso.
La Camera dei Deputati ha approvato prima una legge di Bilancio inesistente, ovvero impostata coi criteri italiani, ma si appresta a votarne un’altra radicalmente cambiata, dalle direttive Europee. In entrambe le circostanza la Camera si esprimerà velocemente per apposizione del voto di fiducia da parte del Governo.
Il Senato ancora aspetta il deposito di un maxi emendamento, frutto della mediazione e delle condizioni subite dall’Italia a Bruxelles, al fine di poterlo conoscere. Ma come per l’altro ramo del parlamento, anche il Senato lo voterà per apposizione della fiducia ancorché’ si tratti di un testo radicalmente diverso da quello giunto dalla Camera dei Deputati. Insomma una semplice frettolosa ratifica proposta da quegli stessi soggetti che per un quinquennio avevano gridato allo scandalo per comportamenti del Governo di turno di natura meno liberticida. Un bailamme che scredita quel che era rimasto di credibilità alle istituzioni parlamentari, che mette in luce la pochezza culturale e politica di una classe dirigente quanto meno sprovveduta.
Matteo Salvini però afferma di essere per le cose concrete, che la filosofia del parlamentarismo non gli interessa. Sbaglia il Truce padano, i filosofi servono alla politica. Chiesero a Bertrand Russel, grande filosofo del secolo scorso, cose fosse la filosofia. Ebbe a rispondere con un aneddoto: immagini un uomo in bicicletta che si è perso nella campagna inglese; costui vede da lontano un filo di fumo e ne segue la traccia verso un casolare. Giunto nel posto, scende di sella, entra in un piccolo emporio e, non vedendo nessuno dietro il bancone, chiede: “Scusi conosce la strada per Winchester?” Dal retro bottega una voce risponde: “Non ho capito”. Il ciclista allora ripete a voce più alta e l’altro, dal retrobottega, risponde: “Vuol sapere la strada per Winchester?”. Il ciclista: “Si, per Winchester!!”. E l’altro: “Mi spiace ma non lo so!!”. Ecco la filosofia non serve a risolve i problemi, ma insegna a porre le domande. Bisognerebbe che qualcuno lo insegnasse a Salvini.