Viviamo in un epoca di mistificazioni dei fenomeni politici e sociali. Attraverso l’uso dei mezzi forniti dalla società digitale si possono veicolare tesi e diffondere opinioni sostanzialmente manipolate se non, in qualche caso, del tutto falsificate. Oggi, chiunque possegga uno smartphone, è in grado di poter intercettare il grande fiume di notizie che vengono divulgate dai media, oltre a poter disporre di uno strumento personale attraverso il quale far conoscere le proprie opinioni alla rete dei social network. Un potere di interlocuzione smisurato, spesso mal utilizzato per finalità che poco hanno a che fare con le corrette, singole, opinioni che si possono veicolare nel web. In genere questi spazi sono utilizzati come un’occasione per sfogare rabbia sociale, frustrazioni personali, oppure per esibire competenze culturali inesistenti, trasformando anonimi soggetti in mirabolanti maestri della tastiera. In qualità di esperte tuttologhe, migliaia di persone, spesso affette da analfabetismo funzionale, ovvero l’incapacità di comprendere quello che leggono, elevano le proprie opinioni a verità consacrate ed hanno l’ardire di misurarsi e contraddire finanche gli esperti più qualificati. Ora, se questo è il contesto attraverso il quale oggi si condiziona e si forma la cosiddetta opinione pubblica, si può ben comprendere quanto aleatori se non erronei siano taluni convincimenti che vanno per la maggiore. Non è raro dover fronteggiare tesi e convincimenti che si propalano in rete del tutto privi di veridicità, ancorché diffusi da una cospicua schiera di cittadini come veri ed opportuni. Si creano addirittura degli schieramenti pronti a difendere pareri del tutto privi di aggancio con la realtà dei fatti. Blocchi digitali che diventano “trincee” di opinioni, vere proprie categorie sociali, che innescano anche campagne di denigrazione e di offese per coloro che la pensano diversamente. La rete diventa appannaggio di “influencer” e gruppi organizzati antagonisti, trasformandosi in una cloaca massima che ospita astio, ingiurie e maleducazione. Insomma: la lotta sociale si radicalizza e si estremizza, esasperando le contrarie opinioni, fino a creare autentici fronti di militanza che si mantengono uniti per spirito di contrarietà. E’ in questo clima di intolleranza che paradossalmente si generano idee contrarie al cosiddetto sistema, ovvero l’insieme delle istituzioni politiche, parlamentari e governative. Il più bel fiore sbocciato in questa palude è stato quello della contestazione alla democrazia delegata, quella parlamentare e politica, con l’esaltazione di un criterio decisionale fondato sull’assemblearismo permanente, la consultazione continua, manipolata ad arte, dei partecipanti alla rete. Proposte ed idee quasi sempre nate da contingenze emotive, progetti ipotetici validati non dal ragionamento avveduto ma dai like ricevuti e dalla diffusione virale della notizia. Se un terzo degli elettori ha espresso il proprio voto al M5S significa che questa modalità è riuscita a condizionare l’opinione del corpo elettorale. Qualunquismo, fake news, ignoranza ed intolleranza i corollari del fenomeno. E tuttavia contrariamente ai presupposti enunciati, quelli di una democrazia diretta facente capo al popolo, o meglio, al simulacro del medesimo, quando si è giunti al momento delle decisioni nevralgiche queste ultime sono state rifiutate dalla base assembleare, delegate ai capi del Movimento ed alle loro espressioni parlamentari. E’ questo il caso dei referendum che, ogni qualvolta sono stati proposti per indurre modifiche legislative su base decisionale di stampo popolare diretto, sono stati disertati se non ignorati dal popolo dei contestatori del sistema parlamentare. Insomma alla prova dei fatti, la volontà di decidere senza intermediazione da parte delle istituzioni politiche è stata vanificata dal disimpegno e dall’indifferenza. Allora sarebbe ora di porre termine alla pratica della contestazione della politica e delle istituzioni invocando criteri che vengono successivamente ignorati dalla massa stessa dei proponenti. La seconda repubblica, nata dalla contestazione moralistica e forcaiola, si è rivelata un mero espediente per ritornare alla politica assistenziale e clientelare di un tempo dopo gli anni di lacrime e sangue dei governi che imponevano politiche di risanamento del debito pubblico e dei bilanci dello Stato. Redditi di cittadinanza, aumento dei salari come variabili indipendenti dal lavoro e dalla produzione di beni e servizi, sono stati gli scopi di fondo della rivoluzione farlocca di questi ultimi decenni. Una vittoria di Pirro che ha lasciato sul campo i corpi esanimi di vinti e di vincitori e, soprattutto, quello di uno Stato in braghe di tela.