di Raffaele Carotenuto
Il 15 luglio scorso don Mimmo Battaglia, arcivescovo metropolita di Napoli, ha firmato una lettera pubblica, a parere di chi scrive, coraggiosa e che sfida quella coltre di silenzio sospetto del legislatore, tranne poche e sparute voci, contro l’autonomia differenziata. Uno scritto intitolato “Il Vangelo e la Costituzione”, preciso, dirompente nel messaggio e “preso” dalla parte più alta e nobile del ragionamento.
Il Monsignore meridionale innanzitutto individua, esplicitamente, la modifica del Titolo V della Costituzione come elemento prodromico all’attuale proposta di autonomia differenziata, votata da questo Governo. Una riforma rabberciata quella del 2001, divisiva ed egoista, generatrice di “indifferenza collettiva” tra gli uni e gli altri (Nord e Sud), oltre a far notare che fu votata con responsabilità di quasi tutto l’arco istituzionale.
L’alto prelato, con serietà argomentativa, ma con inequivocabile fermezza, sostiene, a ragion veduta, che la Costituzione va letta nella parte prima, durante e dopo gli articoli della riforma, affinché si noti chiaramente che i padri costituenti vollero affermare i principi che essa individua l’Italia come autonoma e solidale, dove si riconosce la libertà personale e l’azione collettiva, quella tra i singoli territori e l’unità territoriale. Ma “affonda” ancor più, quando, ai suoi occhi, in questa fase storica “si scambia la patria per un campo di battaglia”. Un concetto che contrappone, che mette distanza con lo straniero, che spacca l’impalcatura democratica dello Stato. Il tentativo del religioso, intellettualmente onesto, risiede anche nella interpretazione del Vangelo, proprio in relazione al “libro” della Costituzione, raccontando la sua missione pastorale verso gli ultimi, gli straziati da fame e guerre, chi non ha voce, chi è sempre l’ultimo nella fila della vita.
Ecco il felice incontro tra il Vangelo e la Costituzione, due alleati contro un disegno politicamente criminoso che contiene il germe dell’interesse proprio prevalente, l’idea della sopraffazione di un territorio su un altro, qualcosa che cancella quelle libertà collettive conquistate dalle lotte popolari.
Una voce “contro” quella di don Mimmo Battaglia, una posizione non comoda la sua, che si schiera convintamente per il Mezzogiorno, quella terra martoriata, bella e dannata, ma dove si interpreta la meritoria azione solidale di ascolto dei senza parola e la tutela della loro piena dignità. Un percorso di evangelizzazione lungo e faticoso, ma anch’esso pieno di princìpi e valori. Una voce gridata che, anche per i non credenti, non può che essere riconosciuta, apprezzata, affiancata.
Don Mimmo Battaglia, infine, precisa che non vuole essere accusato di politicismo, il suo “mestiere” è un altro, ma preferisce che la Chiesa si schieri, questo si, dalla parte dei poveri e dei bisognosi, verso chi non riesce a soddisfare i minimi bisogni quotidiani. Insomma, prova a dare corpo a quello che dovrebbe essere il fine primo della Chiesa.
Nel silenzio della politica e della cultura meridionali, che declinano quella ubriacatura di parole da essi stessi consumate, questo grido di dolore non rassegnato, ma forte e chiaro, dovrebbe essere valorizzato e messo a sistema, nell’ambito di un civismo potenzialmente devastante ma ancora muto e non adeguatamente incidente.
A tutt’oggi non pochi soggetti, istituzionali e non, hanno duramente criticato questo disegno eversivo dell’autonomia differenziata, non si tratta più di contrarietà piagnona e disfattista, ma se si riescono a mettere assieme i giudizi fin qui espressi, e non solo provenienti dal Sud, si può vincere una battaglia difficile, poderosa, sul tappeto da decenni. Il fronte del NO se si lascerà “penetrare” e non si farà prendere dalla solita sindrome dell’autosufficienza, volendo stare attento più ai soliloqui che ad una vera e propria piattaforma alternativa a una porcheria contro il Mezzogiorno, può sperare “forse” ancora di farcela.
Qui non si tratta più di salvarsi la faccia e per qualcuno addirittura l’anima, di stare dentro lo schema “io l’ho detto”, in gioco vi è la libertà come condizione per non morire definitivamente.