Che Jorge Bergoglio, gesuita e militante della teoria della Liberazione, non avrebbe mai dismesso le vesti del missionario, abbandonando la visione angusta e particolare che aveva del mondo e della fede, lo si era capito fin dal giorno del suo insediamento sulla cattedra di Pietro. Con lui, infatti, la dimensione sacra della figura del vicario di Cristo, erede degli Apostoli, è stata man man ridimensionata e banalizzata, secolarizzata al punto tale che oggi su quel sacro soglio pare segga un parroco di campagna, un prete che rifugge la complessità del suo mandato ecumenico, evitando il compito di governare la Chiesa sia sotto il profilo dottrinale sia sotto quello pastorale nella sua reale dimensione ed importanza. Eppure stiamo parlando di un magistero che dovrebbe tenere nel debito conto la condizione spirituale di circa un miliardo di fedeli sparsi in tutti i continenti senza distinzione alcuna (né sociale, né economica). Invece questo stesso magistero si riduce alla sola cura dei ceti più poveri! Insomma: siamo al cospetto di una visione del mondo ristretta e relegata ad una società che si identifichi con una grande favelas, in cui il Papato svolge il ruolo del semplice missionario, un ambito certo degno di ogni cura e sostegno, ma niente affatto esclusivo e rappresentativo dell’universo del mondo cattolico. Peggio ancora se il pauperismo viene elevato a compito pressoché assorbente dei pensieri del pontefice romano il quale, stravolgendo la dottrina e la storia millenaria della Chiesa, dichiara che la salvezza delle anime possa essere raggiunta solo da chi non ha nulla e magari versa in condizioni disagiate. La stessa dottrina sociale della chiesa, derivante dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, redatta per creare un distinguo ed una nuova prospettiva socio economica per i credenti, confusi dalle contrapposte dottrine socialiste e liberali, è stata stravolta. Una dottrina piegata da Bergoglio in favore del socialismo, con ampie riserve sulla ricchezza, il benessere e la dubbia legittimità della proprietà privata. Parliamoci chiaro: gli atteggiamenti, il comunicare ed i comportamenti in pubblico di Francesco sono volutamente minimali, improntati alla bonomìa ed alla semplicità del tratto, con buona pace della sacralità della figura del Papa che per milioni di cristiani è il rappresentante del Cristo in terra. Con lui si è ottenuta una continua spoliazione dell’immagine del Pontefice, ridimensionata ormai al ruolo del “piacione” e del modesto, dell’uomo qualunque che puoi incontrare con la borsa della spesa in mano al mercato rionale, oppure innanzi ad un bar e magari berci una birra insieme con tanto di cameratesca pacca sulla spalla. Sono questi atteggiamenti che secolarizzano e banalizzano la figura del Vescovo di Roma rendendolo telegenico e popolare fino al punto da trasformarlo in uno dei tanti personaggi noti ed acclamati, un semplice prete al passo con tempi della comunicazione social e della superficialità che li connota. Insomma, incurante del retaggio dei suoi predecessori che innovarono non poco sia la dottrina che la pastorale, senza mai scendere dalla cattedra, Francesco riesce a minimizzare la superiore dimensione spirituale, morale e materiale del Pontefice. Si darà che Egli è al passo con i tempi e che la Chiesa, questi tempi, deve saperli cogliere con gesti esemplificativi. Tuttavia questo non dovrebbe riguardare il comportamento e la figura del Papa! Le Chiese sono semivuote, le vocazioni ed i seminari ancora di più. Il relativismo etico dilaga, la scala dei valori morali ispirati al credo cristiano è sempre più alla mercé delle cosiddette “teorie gender”, del politicamente corretto e della libertà declinata senza il corollario della responsabilità. Bergoglio, però, di tutto questo, poco o niente si cura! Nossignore. Preferisce lasciar correre e, di tanto in tanto, si rende simpaticamente partecipe del “modernismo”. Nel caso della guerra tra Russia e Ucraina, l’ex Cardinale di Buenos Aires si sforza di mediare tra i belligeranti ma non ha acquisito il carisma e l’autorevolezza di un Papa Giovanni XXIII né emana encicliche di immenso valore come la Pacem in Terris. Eppure il Papa buono, pur portato in sedia gestatoria e col triregno in testa, seppe aprire il Concilio ecumenico, rinnovando la chiesa. Francesco si adegua inerme e conciliante alla realtà che lo circonda, alla parificazione inter religiosa, non ha lo spessore teologico di un Ratzinger nel pronunciare il discorso di Ratisbona con il quale Benedetto XVI seppe creare un distinguo etico e politico ben chiaro e preciso tra il cristianesimo e talune religioni violente ed illiberali. Con Bergoglio pensavamo di averle viste davvero tutte, ma non era così. Domenica scorsa, infatti, il papa argentino si è recato a rendere omaggio al feretro di Giorgio Napolitano nella camera ardente allestita in Senato. Che dire? L’ex capo dello Stato, presidente emerito della Repubblica, ateo e (da sempre) comunista dichiarato, mai avrebbe pensato di ricevere, dopo la sua morte, la visita di un Papa, il quale innanzi al feretro, non si è neanche degnato di segnarsi con il semplice gesto della croce! Capisco il rispetto per l’ateismo del defunto ma non capisco perché in omaggio a quella specificità di non credente, debba venir meno la specificità del credente, di un segno religioso distintivo che riguarda chi lo compie e non offende nessuno. Non avendolo fatto il Papa ha compiuto sia una inutile sottomissione sia un’omissione che sa di sciatteria se non di abiura. Il fatto grave è che di tanto si sentiranno esentati tutti i fedeli in analoghe circostanze, oltre che delusi quelli che maggiormente credono.