La camorra, quella degli Zagaria, e l’emergenza rifiuti. E’ una delle pagine nere della storia italiana. La cosca di Casapesenna sarebbe riuscita ad infiltrarsi in un sistema che il Governo, negli anni Duemila, aveva deciso di controllare direttamente. In realtà dal servizio raccolta nei singoli Comuni alle discariche i Casalesi ci sono (quasi) sempre stati. E stando alle recenti indagini (ancora in corso) della Dda, in determinati contesti ci sarebbero ancora: sotto la lente degli investigatori sono finite le gare d’appalto per il servizio di igiene urbana a Caserta e ad Aversa.
Clan Zagaria ed emergenza rifiuti: è un binomio che gli inquirenti hanno più volte formulato, ma le relazioni tra i due elementi restano tuttora piene di ombre e nodi irrisolti. La collaborazione con la giustizia di Nicola Schiavone forse servirà a far luce anche su quel mistero. Di striscio il figlio di Sandokan ha tirato in ballo Michele Zagaria proprio in relazione alla costruzione di uno slargo che avrebbe dovuto ospitare la monnezza che tracimava dalle strada nel Casertano e nel Napoletano. Lo ha fatto parlando degli imprenditori Giuseppe e Pasquale Mastrominico.
“Voglio specificare che il rapporto con loro ebbe un momento di particolare rilievo con riferimento ad una vicenda relativa alla costruzione di una piazzola per le eco-balle su un terreno di loro proprietà per il quale intendevano naturalmente svolgere direttamente i lavori”.
L’apertura dei cantieri e l’esecuzione dell’opera erano stati affidati, ha aggiunto Schiavone, “dagli enti preposti alla gestione per l’emergenza rifiuti”. Ma quello era un business degli Zagaria. Capastorta non aveva alcuna intenzione di mollarlo: il boss di Casapesenna, ha continuato il pentito, “pretendeva di gestire lui la cosa, sia per l’edificazione della piazzola, sia per la fornitura del calcestruzzo che voleva fosse assicurata alla Cls di Nicola Palladino. Fu questa una delle vicende in cui i Mastrominico – ha continuato il pentito – non si sentirono tutelati da Antonio Iovine e fui direttamente io, tramite Massimiliano Caterino detto ‘o Mastrone a far pervenire a Zagaria l’ambasciata che i lavori dovevano farli i Mastrominico, visto che tra l’altro si trattava di operare su un loro terreno. Trattandosi di una cosa mia – ha aggiunto il primogenito di Sandokan – avrei deciso io a chi avrebbe dovuto rifornire il cemento e con quale prezzo e senz’altro non avremmo versato nulla a Michele Zagaria per questa operazione”.
Le dichiarazioni rese da Nicola Schiavone sono state depositate nel processo in Appello a carico degli imprenditori Mastrominico: i due sono accusati di concorso esterno al clan. In primo grado, assistiti dagli avvocati Vittorio Giaquinto e Francesco Picca, hanno incassato 8 anni di reclusione.