L’allarme di Confindustria a Bergamo: senza aiuti la metà chiude, Cig per l’84%

Il sostegno al credito, tramite l'azzeramento delle imposte come in occasione delle calamità naturali, è la misura ritenuta più adatta a fronteggiare le conseguenze economiche della crisi sanitaria

Foto LaPresse - Mourad Balti Touati

ROMA – Un dramma sanitario, ma anche economico. Con più di 8 aziende su 10 che sono costrette a fare ricorso agli ammortizzatori sociali. La provincia di Bergamo con oltre 9mila casi e 2mila vittime è uno dei territori che ha dovuto pagare uno degli scotti più alti al coronavirus. Ma, mentre si attende che l’emergenza dei contagi venga superata, deve fare già i conti con le ricadute occupazionali.

Numeri allarmanti

I numeri sono terribili: il 52% delle aziende orobiche non ritiene di poter continuare la propria attività a causa dello stato d’emergenza senza un supporto dal Governo o più in generale dalle istituzioni. Il restante 48% si divide tra una quota considerevole (32%) di aziende che ritiene di poter resistere al massimo un anno (11% per due mesi, 13% per 3 mesi e 7% per un anno) e una parte di incerti (12% non risponde). L’allarme arriva dell’Osservatorio mensile di Confindustria Bergamo sull’impatto del Covid-19 sulle imprese locali, che rappresentano un valore aggiunto di 32,5 miliardi di euro. Pari al 9,5% del Pil lombardo e del 2% di quello nazionale, con una quota di export del 16%.

Imprese in cassa integrazione

E ancora: l’84% delle imprese ha già chiesto o richiederà la cassa integrazione al massimo entro sei mesi. Il restante 16% si divide tra l’incertezza (5%) e l’intenzione di non ricorrervi (11%). Tra i richiedenti, uno su due (48%) la attiverà per il 70-100% dei propri dipendenti. “Questa indagine integra altre simulazioni che stiamo realizzando ormai da qualche settimana”, ha dichiarato Stefano Scaglia, presidente di Confindustria Bergamo. “Alcune evidenze sono preoccupanti, anche gravi in certi casi. Ma ci sono anche alcuni aspetti che ci confortano e che ci motivano ulteriormente a proseguire nelle nostre azioni affinché nessun player venga abbandonato. Per garantire ossigeno alle imprese, è urgente che il sistema creditizio sia ridiscusso e che i parametri per valutare i prestiti siano stravolti. Burocrazia e valutazioni con ‘il bilancino’ devono lasciare il campo a strumenti nuovi e ad approcci solidaristici da parte dello Stato e della Bce”, ha spiegato.

Misure di sostegno al credito

Il sostegno al credito, tramite l’azzeramento delle imposte come in occasione delle calamità naturali, è la misura ritenuta più adatta a fronteggiare le conseguenze economiche della crisi sanitaria. Seguita (in ordine di priorità) dall’erogazione di finanziamenti a fondo perduto per le imprese. I problemi di approvvigionamento sono la causa principale delle difficoltà riscontrate in questo momento, seguiti dalla carenza degli ordinativi e in misura minore, seppur significativa, dai problemi di liquidità e dalla difficoltà a garantire prevenzione e protezione adeguata ai dipendenti sul posto di lavoro.

I settori più colpiti

Le specializzazioni che soffrono maggiormente sono il tessile/moda e la tecnologia per l’edilizia, nell’ambito delle quali il 67% delle imprese intervistate dichiara di essere chiuso. Il comparto della comunicazione/informazione è quello che patisce meno in termini di operatività, vantando un 57% di realtà operative a pieno regime. Tra i settori più importanti in termini di rappresentanza all’interno del totale, si evidenzia come le aziende metalmeccaniche, gomma e plastica e chimica e farmaceutica siano maggiormente votate all’operatività a regime ridotto. Focalizzando questo aspetto sul territorio della “grande Bergamo”, il 68% delle aziende interpellate dichiara di essere operativo a regime parziale.

(AWE/LaPresse/di Alessandro Banfo)

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