Ha saputo catturare l’attenzione del pubblico con la sua estetica unica e audace: Luca Cacciapuoti, noto nell’ambiente artistico come Arsenyco, è un fotografo freelance napoletano. A soli 30 anni, Cacciapuoti ha già fatto parlare di sé con le sue fotografie, che spesso esplorano tematiche licenziose o combinazioni di elementi insoliti. Un percorso artistico che trova le sue radici all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ha coltivato la passione per l’arte e il desiderio di esprimersi attraverso la lente della fotocamera. Lontano dalle limitazioni e dagli schemi prestabiliti, ha abbracciato una dimensione espressiva personale, fatta di originalità e sperimentazione. Le fotografie di Arsenyco non sono semplici scatti, ma veri e propri quadri d’autore, dove le figure umane o parti dell’essere umano assumono un ruolo centrale. L’artista esplora con maestria le sfumature dell’animo umano, attraverso pose e prospettive fuori dal comune, creando immagini suggestive che suscitano emozioni e riflessioni profonde.
Quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della fotografia?
«La mia passione è nata per caso, ma anche un po’ per capriccio. Quando attorno a me cominciarono tutti a comprare una macchina fotografica mi sono incuriosito. Chiedevo saltuariamente il permesso di poter scattare con le attrezzature altrui, fino al mio diciottesimo compleanno, quando ho comprato la mia prima Reflex. Avrò cominciato a fotografare grossomodo nel 2010, utilizzando come primi spunti il mondo della danza e, poco dopo, quello del bynight».
Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
«Avendo studiato perlopiù danza, teatro e arte, i miei spunti vengono inevitabilmente da questi mondi. Pittura, scultura, corpo, teatro, ben presto cinema. Non so dire esattamente come funziona. Io semplicemente sento, immagino, e poi cerco di trasformare ciò che provo in una forma reale».
Cosa cerchi di catturare e trasmettere attraverso le tue fotografie?
«Il paradosso dell’essere umano, l’ipocrisia e le contraddizioni. Il significato di romanticismo senza etica o morale».
Come hai sviluppato il tuo stile distintivo e come lo descriveresti?
«Anni e anni di tentativi e ricerca senza un obiettivo nitido. Ho seguito quello che mi attraeva, nel momento in cui mi andava. La definirei teatrale e pittorica, rifacendomi anche a quelle che ho detto essere state le mie fonti d’ispirazione. Teatrale per la tendenza nell’amplificare i gesti, lasciando difetti che trattengano le realtà quotidiana nelle foto. Pittorica per l’utilizzo della luce e del colore».
Ho notato che hai una tendenza a fotografare molti baci e lingue nelle tue immagini. C’è una storia o un significato particolare dietro questa scelta artistica?
«È vero, nella mia fotografia c’è sempre un velo di romanticismo. Molto spesso va oltre la provocazione. È un aspetto di me che dovrei per primo approfondire, è venuto fuori senza una programmazione strategica».
Le didascalie delle tue foto spesso sembrano aggiungere un ulteriore strato di significato ai tuoi scatti. Puoi parlare del processo di creazione delle didascalie?
«L’aggiunta del testo approfondisce o mette in crisi quello che gli occhi vogliono vedere nell’immagine a primo impatto. Questo mi permette di essere più preciso nel portare lo spettatore dove voglio, verso una riflessione o sensazione più accurata. Sono uno stimolo in più. Non c’è un ordine preciso nel momento di creazione, a volte comincio da un testo, a volte cerco di dare voce alle immagini. È certo solo che tutto parte dalle mie sensazioni».
Guardando al futuro, quali sono i tuoi progetti o obiettivi?
«Forse, mi piacerebbe essere capace di andare oltre la fotografia come mezzo».