ROMA – Dopo mesi di braccio ferro, anche sulle delocalizzazioni è Mario Draghi ad imprimere l’accelerazione definitiva. La trattativa, vede da una parte – a premere per la “responsabilità sociale d’impresa” – Andrea Orlando e Alessandra Todde e dall’altra – impegnato in difesa degli industriali – Giancarlo Giorgetti, spalleggiato dal leader di Confindustria Carlo Bonomi.
La partita, raccontano, si sblocca mercoledì a pranzo. Il premier e mezzo Governo sono ospiti di Sergio Mattarella al Quirinale in vista del Consiglio europeo del giorno dopo ed è in quella occasione che l’ex presidente Bce, dato anche il moltiplicarsi delle crisi (l’ultima, in ordine di tempo, è Caterpillar che ha annunciato pochi giorni fa che lo stabilimento chiuderà entro marzo), invita i due contendenti a trovare una mediazione nell’interesse del Paese.
Il nodo riguarda le sanzioni alle imprese. I tecnici si mettono a lavoro, ma l’accordo non c’è ed è Draghi in persona, insieme a Daniele Franco e Roberto Garofoli, a individuare il punto di equilibrio. Alla fine l’accordo arriva, non per decreto, ma attraverso un emendamento alla manovra. “La legge di bilancio è l’ultimo slot utile per intervenire normativamente prima dell’elezione del presidente della Repubblica, dopo – ammette Orlando – il quadro diventa incerto per altri aspetti e quindi penso sia giusto intervenire”.
La mediazione prevede che il datore di lavoro “inadempiente” rispetto al piano di salvataggio richiesto per chi intende chiudere uno stabilimento situato sul territorio nazionale è tenuto a pagare il contributo previsto dalla legge sui licenziamenti incrementato di 2 volte. Non solo. In caso di mancato accordo finale sul piano di salvataggio dell’impianto tra l’azienda e i sindacati, il contributo sarà moltiplicato per 1,5, aumentato cioè del 50%.
Per limitare gli effetti negativi delle multinazionali che decidono di chiudere in Italia per trasferirsi dove il costo del lavoro è più basso il Governo prevede una road map di azioni. “Al fine di garantire la salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo” i datori di lavoro con almeno 250 dipendenti, che intendano chiudere di una sede in Italia, prevedendo la cessazione definitiva dell’attività e il licenziamento di almeno 50 lavoratori sono tenuti, almeno 90 giorni prima dell’avvio della procedura, a darne comunicazione per iscritto a enti territoriali, rappresentanze sindacali, ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico e Anpal.
Entro 60 giorni dalla comunicazione, poi, il datore di lavoro “elabora un piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche derivanti dalla chiusura” che indica “le azioni programmate per la salvaguardia dei livelli occupazionali e gli interventi per la gestione non traumatica degli esuberi”; “le azioni finalizzate alla rioccupazione o all’autoimpiego” come la formazione; “le prospettive di cessione dell’azienda o di rami dell’azienda con finalità di continuazione dell’attività”; i tempi e le modalità di attuazione delle azioni previste”.
L’emendamento è atteso in commissione Bilancio a palazzo Madama fino a sera. Poi sono direttamente i ministri Orlando e Giorgetti a spiegarne il contenuto, via zoom, ai senatori chiamati – da domenica – a esaminare la manovra. Non mancano, infatti, i mal di pancia per aver fatto “da ufficio postale” del Governo, con le proposte di modifica che arrivano “all’ultimo minuto”. I subemendamenti “non mancheranno”, è l’avvertimento. I partiti, in ogni caso, alla fine esultano.
Si dice “soddisfatto” per l’intesa raggiunta, Giancarlo Giorgetti. “E’ una soluzione ragionevole che non penalizza le imprese e tutela i lavoratori”, sintetizza mettendo in luce le misure messe in campo dal Mise per le imprese negli ultimi mesi e nella legge di bilancio. E anche Matteo Salvini segna il punto: “Non è più possibile che ci siano aziende che prendano denaro pubblico in Italia, chiudano in Italia e licenzino in Italia, magari via mail, e vadano all’estero e assumano all’estero”, dice.
“Entusiasmo” anche in casa M5S. “Todde ha lavorato in questi mesi per raggiungere una sintesi nel segno della responsabilità sociale delle imprese – sottolinea Giuseppe Conte – Una sintesi che non vuole essere punitiva per le imprese e che non vuole incatenarle in alcun modo”. Parla di “primo passo importante” Enrico Letta, mentre Andrea Orlando prova a indicare quelli futuri: con l’emendamento “evitiamo l’aspetto più brutale e selvaggio dei processi di delocalizzazione. Se vogliamo intervenire in modo più stringente la prima risposta si chiama Europa e la seconda politiche industriali”, dice chiaro.
Secco, però, arriva il no della Fiom. “Rischia di essere un provvedimento che dà il via libera alle imprese che hanno deciso di delocalizzare. E’ infatti una mera proceduralizazzione”, punta il dito Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil, che poi attacca: “Anche sulle delocalizzazioni il metodo del Governo è sempre lo stesso: i sindacati e i lavoratori, che stanno affrontando quotidianamente queste crisi, conoscono il provvedimento a cose fatte. E’ opportuno che il Governo si fermi e convochi le organizzazioni sindacali”.(LaPresse)