Si conclude con questo editoriale la trilogia sui presunti mali addebitati alla visione socio economica del capitalismo. Abbiamo già rilevato, nei precedenti articoli, l’infondatezza se non la falsità di talune affermazioni provenienti, per lo più, da schiere di detrattori interessate a diffamare tale “dottrina” addossandole una serie di responsabilità inesistenti, poggiate su evidenti e mendaci presupposti. Continuiamo questa carrellata con l’intento di confutare il resto delle principali accuse mosse contro il sistema della libera iniziativa e più in generale contro il libero mercato di concorrenza che opera sotto l’imperio delle leggi senza interferire con le dinamiche proprie del mercato. Per “interferenza” intendiamo soprattutto riferirci a quella dei monopoli pubblici, delle imprese statali i cui debiti vengono ripianati a piè di lista, oppure favoriti da presupposti socialisti che assegnano all’ente pubblico una serie di vantaggi e privilegi che alterano la concorrenza, cancellano le regole imprenditoriali e favoriscono la gestione politico clientelare delle imprese statali. Un’altra grande falsità sui presunti mali generati dal sistema capitalistico è di natura eminentemente politica: ossia si sostiene che tali regimi favoriscano l’insorgenza di governi dittatoriali riferibili al “fascismo”. In verità la critica viene da quel coacervo di filosofi e sociologi appartenenti alla cosiddetta “scuola di Francoforte”, che ha avuto in Adorno e Marcuse i propri capofila. Questi ultimi si sono distinti per le teorie in favore dello Stato massimo, dell’esistenza di una “minima moralia” che nei sistemi capitalistici spingerebbe l’uomo a dedicarsi esclusivamente a se stesso e ai propri interessi perdendo, in tal modo, la capacità di critica e di interlocuzione con le istituzioni pubbliche. In sintesi: saremmo al cospetto dell’abbrutimento del senso civico e della partecipazione sociale e politica alla vita ed al miglioramento della società. A queste teorie tendenti a dimostrare che il capitalismo rappresenti un richiamo al cittadino a sviluppare un’indole meno sociale e più egoistica, ha risposto brillantemente la “Scuola Austriaca” con K.R. Popper e con gli economisti liberali (Menger, Von Mises, Von Hayek). Questi ultimi hanno dimostrato, con grande efficacia ed esemplificazioni (tratte dalla vita quotidiana), che laddove viga un modello di Stato che coercisca le libertà individuali e quelle economiche, esista anche il rischio che possa svilupparsi un sistema liberticida a discapito della popolazione. Che chi pretende di massificare gli uomini, per costringerli ad agire come previsto dalle istituzioni centrali programmatrici, per realizzare la cosiddetta “società degli eguali”, altro non faccia che gettare le basi per l’edificazione di una miserabile dittatura. Il libero mercato di concorrenza, al contrario, non può che essere regolato da leggi liberamente assunte da un parlamento democratico per disciplinarne la vita ed evitare gli abusi e le concentrazioni proprio in antagonismo alla concorrenza. La vera forza del capitalismo e del mercato di concorrenza risiede dunque nell’ignorare quali siano i gusti, le necessità e le volontà degli acquirenti. E’ da questa ignoranza ( espressione di libertà individuale) che deriva la necessità dei produttori di dover offrire il miglior prodotto al prezzo più conveniente e battere la concorrenza. Viceversa, lo Stato socialista presume ed assume il compito di poter prevedere, programmare e soddisfare le esigenze dei cittadini, finendo per obbligare i medesimi a servirsi di quello che esso offre, attraverso il monopolio della produzione dei beni, la negazione della libertà del consumatore di scegliere, in autonomia, secondo le proprie esigenze e utilità. Un’altra menzogna è quella che il capitalismo scateni le guerre e alimenti la sopraffazione degli Stati più forti (leggasi: imperialismo) sui più deboli. Eppure già l’economista Benjamin Constant alla fine dell’800 aveva dimostrato che sulle frontiere ove passano le merci non passano i cannoni, che la cooperazione e la reciproca tutela degli interessi è il miglior deterrente economico per scongiurare una guerra! Ma c’è di più. Abbiamo assistito negli ultimi decenni, a un vasto fenomeno economico e sociale chiamato “globalizzazione”, ossia alla possibilità (e all’interesse commerciale) che i prodotti siano la risultante di un assemblaggio di più parti, realizzate in Paesi diversi ove esistono ed insistono le materie prime occorrenti; oppure che questi stessi beni vengano prodotti entro un meccanismo di vasta collaborazione tra gli Stati. Un fenomeno economico certo interessato, ma che si è trasformato anche in un volano di ricchezza e di emancipazione per tanti paesi sottosviluppati, nei quali, pian piano, sono stati introdotti anche sistemi di tutela dei lavoratori e la contrattazione salariale. Un fenomeno che ha portato alla diminuzione della povertà anche in nazioni sovrappopolate come Cina, India, l’Africa. Cos’altro dire? Il capitalismo è forte perché coniuga gli interessi propri con la diffusa prosperità dei popoli. Ed infine perché lascia a ciascuno la ricerca della propria felicità.