Disagio minorile, devianza, microcriminalità, troppa confusione, tante omissioni.. L’opinione pubblica e la politica vogliono rafforzare l’utilizzo di forme di restrizione della libertà personale. Il nostro sistema giudiziario minorile regge il confronto con le altre realtà internazionali e resta il migliore. Nel corso degli ultimi anni è cambiato radicalmente l’atteggiamento della pubblica opinione verso il disagio minorile, in particolare verso quello che approda alla violazione delle leggi e al crimine. Ed è mutata la considerazione dei reati dei giovani e dei minorenni. Se nel periodo storico a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento i minori e i giovani devianti venivano considerati come “soggetti bisognosi di aiuto e di una guida” e non solo di punizione, negli ultimi due decenni (in concomitanza con la presenza di forze politiche che hanno investito sulla paura del crimine e ne hanno ad arte ampliato la percezione, anche attraverso un uso accorto dei giornali e delle Tv) il clima è nettamente mutato: i minorenni a rischio sono considerati come una minaccia per la convivenza civile e più forte è stata la richiesta di rivedere alcune delle norme emanate negli anni precedenti. In particolare, sono stati attaccati il limite di punibilità a quattordici anni del nostro ordinamento giudiziario e il ricorso al carcere solo in casi di mancanza di alternative. Nonostante tale premessa il sistema giudiziario italiano, resta il migliore rispetto alle altre realtà internazionali.
Alla metà del gennaio 2021, erano 281 i ragazzi detenuti nei 17 Istituti penali per minorenni presenti sul territorio nazionale. Tra i 281 ragazzi presenti in carcere alla metà del mese di gennaio 2021 si contano 15 infrasedicenni, 104 minorenni nella fascia di età 16-17 anni, 118 giovani adulti nella fascia 18-20 e 44 in quella 21-24. I detenuti italiani sono 158 e gli stranieri 123. Le ragazze sono 13 (4 italiane e 9 straniere) e sono ospitate nelle sezioni femminili di Nisida e Roma e nell’unico Ipm interamente femminile di Pontremoli che ospita attualmente 8 donne. ( di cinque volte minore rispetto alla delinquenza minorile registrata nel Nord Europa).
All’Italia si può rimproverare una scarsa coerenza tra le affermazioni di principio e le effettive politiche introdotte per il recupero di coloro che commettono reati, ma il più cauto ricorso alla carcerazione non ha prodotto di per sé una crescita del crimine minorile, anzi. Il sistema basato sulle comunità di accoglienza in alternativa al carcere e su modalità di pena che puntano al reinserimento attraverso percorsi formativi di studio e di lavoro (principalmente attraverso la cosiddetta “messa alla prova”, l’azzeramento cioè della punibilità del reato in cambio dell’impegno a studiare o a imparare un mestiere) regge nonostante le tante difficoltà segnalate dagli stessi operatori.
La maggior parte dei reati dei minori si registrano nelle 14 aree metropolitane indicate come tali da un’apposita legge del 2014, quasi a dimostrare che il disagio delle periferie delle grandi città resta una delle cause più influenti nei reati in Italia: anche per quanto riguarda la criminalità minorile (ancora di più rispetto a quella degli adulti) la connessione tra spazi urbani degradati, mancanza di scolarizzazione per gli autoctoni e di integrazione per gli stranieri, si dimostra quasi automatica nella spinta a infrangere le norme. Infatti, il 42% di tutti i reati dei minori avviene in queste 14 aree metropolitane. Il primo dato sorprendente è che gli indici di delittuosità dei minori presentano valori tendenzialmente superiori alla media nazionale nelle regioni del nord Italia e valori più bassi della media nelle regioni del sud, al netto della presenza di minori stranieri coinvolti.
Ma la cosa più singolare è che la città con il più alto indice di criminalità minorile non è né Napoli, né Palermo né Reggio Calabria, ma Bologna, cioè una delle realtà urbane dove più hanno funzionato e funzionano servizi sociali di ottima qualità, cosa che sembra in contradizione con quanto affermato precedentemente. Ed è un dato che deve far riflettere, perché non di facilissima decifrazione. Da Gennaio 2021 a gennaio 2022 sono stati presi in carico dagli uffici del Servizio Sociale del Dipartimento della Giustizia minorile della Campania 1530 adolescenti o giovani adulti.632 tra i 12 e i 18 anni, 803 tra i 18 e 21 anni e 95 tra i 21 e i 25 anni.
La domanda sorge spontanea: chi sono i minori che delinquono? Fino a qualche tempo fa, la cultura giuridica minorile operava una distinzione tra devianza minorile e delinquenza minorile, in base alla quale la devianza riguardava i comportamenti irregolari che generalmente non comportano la consumazione di reati, mentre la delinquenza si riferiva alle condotte che configurano reati (furti, rapine, omicidi, ecc.). Negli ultimi anni, invece questa distinzione è considerata superata e il termine “devianza” viene solitamente usato per designare il fenomeno complessivamente considerato. Lo scopo è quello di porre al centro dell’attenzione non il reato – che assume sempre meno rilevanza come fatto autonomo e che costituisce piuttosto il sintomo di un profondo disadattamento personale – quanto il soggetto minorenne (e la sua condotta di vita), che è nello stesso tempo autore e vittima del reato, in quanto soggetto che sconta un’insufficiente, deviato o interrotto processo di socializzazione. Per molti politici la risposta semplice ai bisogni complessi dei minori è quella di abbassare il limite di punibilità sotto i 14 anni. Che vergogna! Occorre liberare i minori ed educare gli adulti.