Sono diversi anni che chi ha tempo da perdere ne usa una parte per ascoltare le intemerate di Vincenzo De Luca, il quale, da una televisione amica, distribuisce sberleffi sia ai nemici politici sia agli amici di partito che non gli vanno a genio. Tirate, le sue, a volte ironiche ed a volte demagogiche che, tutto sommato, alimentano la popolarità del personaggio al quale non mancano né l’ironia, né la faccia tosta di contraddirsi a secondo dei casi di specie. In buona sostanza: al governatore piace il ruolo dello “sceriffo” che affronta da solo l’avversario, con una raffica auto-referenziale di elogi al proprio operato. Non avendo contraddittori in trasmissione l’ex sindaco di Salerno se le canta e se le suona da solo. In tal modo finisce per convincersi che tutto quello che gli esce di bocca sia oro colato: un profluvio di verità tanto apodittiche quanto inconfutabili. Questo il personaggio e nessuno può farci niente. Peraltro, mancando a molti dei suoi avversari sia il nerbo sia la capacità di fargli da contraltare, ecco che De Luca spadroneggia senza rivali sulla scena politica regionale. A voler dare retta alle malelingue si dice che non siano pochi i rivali con l’abitudine di andare da lui a chiedergli favori ed agevolazioni in separata sede. Si alimenta in tal modo un fiume carsico che scorre sotto traccia, fatto di compiacenze e di intese taciute che si traducono in una gentile opposizione al suo mandato all’acqua di rose. La Regione Campania, con la sua massa di disoccupati, può essere considerata, fin dalla sua nascita, un bastione di fortezza per clientele politiche ed intrallazzi vari, partoriti dalla peggiore politica politicante. Insomma don Vincenzo sfrutta i vantaggi politici provenienti dall’intrinseca e storica vocazione dei consiglieri regionali campani di presentarsi in aula perlopiù in ordine sparso: anarchici individualisti eletti in aggregazioni civiche. Liste “fai da te” che il governatore abilmente confeziona ad ogni tornata per fare eleggere frotte di muti astanti senza alcuna infarinatura politica né obblighi di partito. Insomma: la vecchia doppiezza politica, consustanziale all’ex funzionario del Pci, consente a questi di fare il moralista quando gli pare e di praticare tutte le combinazioni ed i compromessi di basso conio quando gli serve per garantirsi i voti in Consiglio. Il moralismo ed il populismo sono i tratti distintivi del suo dire, per lo meno qualche gli piace mostrare in pubblico, salvo poi praticare il mediocre appena tornato in ambito privato. Non c’è azienda partecipata della Regione che non sia guidata da fedelissimi o da sodali elettorali e tutti i gangli della amministrazione sono presidiati dal “Presidente”. Manco a dirlo, egli guida una giunta esecutiva composta da elementi politicamente sui generis e soprattutto privi di quell’autonomia che avrebbe potuto consentire agli assessori di agire liberamente. Un potere assoluto che incrementa la sicumera dell’inquilino di Palazzo Santa Lucia che non avverte mai il bisogno del dubbio e del contraddittorio, circondato com’è dall’acritico assenso di tante anime morte. Ad onor del vero questa tipica pratica amministrativa viene da lontano. De Luca l’ha solo adattata, implementata e modificata, con un abile paludamento delle pratiche spicciole che garantiscono le rendite elettorali. Esempi pregressi di spregiudicate gestioni in Regione non mancano, a cominciare da quella messa in campo, negli anni ‘80 del secolo scorso, dal potente assessore regionale Alfredo Vito, divenuto noto come “mister centomila preferenze”. Allevato nella scuderia di Antonio Gava, ras doroteo della Dc campana, Vito da assessore al Personale, riuscì ad infarcire il numero dei dipendenti regionali con diverse centinaia di assunzioni. La transumanza più numerosa, l’alzata di ingegno più redditizia, fu quella di far transitare nell’organico dell’Ente tutti i dipendenti dei disciolti istituti di formazione privati, diversi dei quali facenti capo ai principali partiti dell’epoca. Eminenti direttori di corsi professionali per barbieri e parrucchieri si ritrovarono, così, da un giorno all’altro, dirigenti apicali. Lo stesso accadde con i lavoratori delle autolinee private regionali che pure transitarono negli appositi carrozzoni delle aziende di trasporto campane. E lo stesso si verificò nell’era Bassolino con la stabilizzazione di migliaia di lavoratori avventizi, destinati ai servizi ambientali, per il tramite delle aziende partecipate regionali del settore. Stiamo parlando di stagioni politiche che De Luca aveva sempre ferocemente criticate e denunciate come espressione della più becera pratica clientelare. Tuttavia, una volta assurto al comando, egli stesso non si è sottratto alla pulsione di fare altrettanto. Un esempio di scuola, tra i più eclatanti, viene dalle centinaia di assunti con pletorici concorsi pubblici che hanno incrementato ulteriormente il numero dei dodicimila dipendenti regionali. Un incremento che ha alimentato sia la gratitudine dei vincitori di concorso sia la disponibilità di questi ultimi a fare parte delle truppe cammellate del “ Caudillo” di Ruvo del Monte. Operazioni elettorali in grande stile tanto legittime quanto dissennate sotto il profilo della spesa. Insomma: un revival della più vecchia e becera politica clientelare. Ma c’è di più! Di recente, infatti, il Consiglio regionale ha varato una legge che ha i crismi della legalità ma anche le stigmate delle cose inopportune se non nefaste!! Il 50 per cento dei prossimi dirigenti del servizio che sovrintende ai lavori del consiglio regionale campano sarà assunto senza alcun specifico requisito culturale perché si tratta di “posti” riservate agli interni. Il restante 30 per cento sarà invece assegnato con procedure verticali, procedure di concorso semplificate e sempre riservate sempre ai dipendenti già in servizio. La residua percentuale forse potrà spettare ai giovani con tanto di titoli e magari pure capaci. Insomma: in Campania non servono né cultura, né competenze. Serve solo far parte della “banda” che gestisce il potere. Questa, c’è da crederci, è solo l’ultima infornata. E chest’è!!