L’intervista ad Eugenio Allegri. Sono ‘Novecento’ a teatro da 25 anni

Baricco scrisse per lui il monologo che l'ha reso famoso: "E' così bello ed emozionante"

Eugenio Allegri

È arrivato al quarto di secolo ‘Novecento’, il monologo teatrale scritto nel 1994 da Alessandro Baricco per Eugenio Allegri (nelle foto): oltre 500 le repliche e più di 200mila spettatori, ha ispirato nel 1998 un cult movie di successo mondiale, ‘La leggenda del pianista sull’oceano’ per la regia di Giuseppe Tornatore.

Novecento è in scena da venerdì a quest’oggi al teatro Sannazaro di Napoli con l’ispiratore e protagonista da ben cinque lustri Eugenio Allegri. Al suo fianco Gabriele Vacis alla regia; anch’egli destinatario come Allegri di questo testo, così come esplicitato sin dall’inizio da Baricco.

Lo spettacolo debuttò per la prima volta il 27 giugno del ’94 al Festival di Asti e a novembre dello stesso anno, uscì anche il libro. Venticinque anni dopo Novecento prosegue la sua rotta, come il transatlantico Virginian, attraccando in piccoli e grandi teatri di piccole e grandi città. Ambientato negli anni a cavallo delle due guerre mondiali, Novecento, abbandonato sulla nave dai genitori e ritrovato sopra un pianoforte da un marinaio, trascorre tutta la sua esistenza a bordo del Virginian, senza trovare mai il coraggio di scendere a terra. Impara a suonare il pianoforte e vive di musica e dei racconti dei passeggeri. Sul grande transatlantico, Novecento riesce a cogliere l’anima del mondo. E la traduce in una grande musica jazz. 
Eugenio Allegri, una carriera artistica lunga e prolifica, sta incantando il Sannazaro con la sua interpretazione. Del resto è sul palco da qualche decennio. Poi, l’incontro con Baricco.

Accade nel ’93: lei sente la necessità di un lavoro personale, sotto forma di monologo, e questo si concretizza, grazie all’incontro a tre con Vacis e Baricco. Che lei in realtà già conosce da prima…

Sì, dall’85 per dei cortometraggi scritti da lui. Fino ad allora non era ancora accaduto che andassi sul palco da solo. Il caso ha voluto che Baricco in quel periodo, era il ’93, uscì in libreria con ‘Oceano mare’ e mi ricordo che quella scrittura, quell’andatura mi colpì molto. Lo lessi in pochi giorni e dissi a Vacis “Mi piacerebbe dire sul palcoscenico cose scritte così”. Prontamente mi rispose: “Perché non lo chiamiamo?” Si mise a telefono e glielo chiese e, dall’altro lato, lui accettò subito. Certo, nessuno poteva immaginare, nemmeno lui, che sarebbe venuta fuori una storia straordinaria come Novecento. Anche perché stiamo parlando dell’anno prima che uscisse e cioè il ’93. Già fu emozionante una risposta così immediata, poi i fatti hanno confermato che l’emozione era fondata su qualcosa di concreto.

Quest’anno festeggia i 25 anni di attività. Recitare lo stesso monologo così a lungo è più facile o più complicato? 

È più difficile farlo per la fatica, gli anni passano e bisogna gestire al meglio le energie sul palco per tutta la durata. Dall’altro, è più facile perché con l’esperienza e le tante repliche ci sono dei momenti in cui lo spettacolo va da solo. 

Poi viene portato anche sul grande schermo da Tornatore, bissando il successo. Due rappresentazioni tecnicamente diverse ma entrambe votate al trionfo…

È una storia così bella e Baricco ha sempre avuto un buon rapporto con il cinema, perché scrive in maniera ‘cinematografica’ con quella tensione visiva. Quando Tornatore decise di fare questo film, circa quattro anni dopo, sapeva che aveva tra le mani una materia intensa, visto anche il successo teatrale. Certo, è raro che un monologo scritto per il teatro diventi un film, non è immaginabile. Come non lo era che diventasse un libro. Baricco ha scritto altre cose per il teatro ma non sono diventati libri. Il riscontro di pubblico, avvenuto già dai primi mesi dal debutto, è probabile che abbia convinto Baricco anche a stamparlo. Infatti, il debutto avvenne a giugno e a novembre uscì il libro.   

Una vita sul palco, passione che nasce grazie ad un professore di lettere, tale Antonio Di Molfetta. A distanza di anni e dei risultati ottenuti, cosa può dire anche ai giovani di oggi su quanto siano importanti gli insegnanti nella loro formazione?

Credo che il mondo della scuola abbia ancora un ruolo centrale nella formazione e nell’alfabetizzazione culturale di un Paese. Noi abbiamo una storia culturale immensa e stratificata. Se non è la scuola che ci avvicina a tutto questo, almeno inizialmente, non vedo in quali altri luoghi possa avvenire. Ho sempre pensato che la scuola deve trasmettere conoscenza e sviluppare nei giovani il senso critico. Questo è un punto di arrivo molto importante. Purtroppo ultimamente sembra che abbiamo un po’ abdicato a questo ruolo.

E’ a Napoli al Sannazaro ma so che ha recitato, unico non napoletano, in un’opera di Eduardo nell’89, ‘Ha’ dda passà a nuttata’ insignita poi, del Premio Ubu per il miglior spettacolo teatrale italiano 1989/90. Che legame ha con questa città?

Sì, recitai con i testi di Leo de Berardinis che mise in scena una versione sintetizzata, per rendere omaggio al grande drammaturgo. C’era un ruolo vacante e Leo non esitò a chiamarmi. Ho metà sangue napoletano, mio nonno era puteolano e si chiamava come me; di cognome faceva Capuano e dunque quest’origine l’ho sempre sentita forte dentro di me. In casa ascoltavo sin da bambino musica napoletana, le romanze, perché mia madre era una cantante lirica. Un po’ di suono della lingua napoletana anche se cresciuto a Torino, in periferia, c’è l’avevo dentro.  Ma ero l’unico non napoletano della compagnia e si sentiva. Così con l’aiuto di molti colleghi napoletani di allora come: Marco Manchisi, Toni Servillo, Iaia Forte riuscì a superare la prova di una presenza un po’ anomala, ma che dentro quella formazione, non tradiva differenze particolari. E devo dire che fu un’esperienza straordinaria.

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