L’Italia unita nelle avversità

Ernesto Paolozzi, docente di Storia della Filosofia contemporanea presso l'università Suor Orsola Benincasa di Napoli

Centocinquantanove anni fa con l’Unità d’Italia si compiva il nostro Risorgimento. Francesco De Sanctis, il grande storico della letteratura irpino che aveva patito il carcere e l’esilio, affermò, pressappoco, che concluso il tempo della poesia cominciava quello della prosa. Sin dall’inizio ci si pose il problema della forma da dare al nuovo Stato che finalmente si sedeva con pari dignità al tavolo della storia. Federale, come pensava Cattaneo ad esempio, fortemente unitario come ritenevano quelli che temevano che la nuova Italia si potesse frantumare di nuovo? Monarchico come sosteneva il grande artefice dell’unità, Cavour, o repubblicano come sostenevano Mazzini e Garibaldi? Sappiamo come andò. Nasce in quel momento la Questione Meridionale come questione politica. La questione era come rendere omogenea sul terreno economico e sociale l’intera Italia e, soprattutto, le regioni meridionali con il resto del Paese. Come è noto la questione è ancora in parte aperta. Intanto l’unità, potremmo dire culturale, antropologica, sociologica si realizzava nei fatti. “Abbiamo fatto l’Italia – pare abbia detto Massimo D’Azeglio – ora bisogna fare gli italiani”. E gli italiani lentamente si sono “fatti” da soli nel lungo percorso della storia italiana ed europea. Una funzione fondamentale l’hanno svolta la scuola e, non dimentichiamolo, la stampa.

L’intera penisola cominciava ad abbandonare i dialetti e imparava a parlare l’italiano, cominciava a conoscere le tradizioni, la letteratura, l’arte, gli usi e costumi, come si diceva un tempo. Nel secondo dopoguerra una funzione unificante fondamentale ancora da studiare in tutto il suo valore, fu svolto dalla televisione che si affiancò alla radio nell’uniformare lo stile di vita degli italiani. La Prima guerra mondiale con la dura umiliazione di Caporetto e l’eroico riscatto del Piave segnò un momento di grande rilevanza sul cammino dell’unificazione degli italiani come popolo, oltre che dell’Italia come nazione. Il fascismo fu fortemente nazionalista, ma provocò grandi dissidi e lacerazioni e trascinò il Paese in una terribile e umiliante guerra. Ma, ancora una volta, nelle difficoltà si ritrovò il sentimento comune e gli italiani affrontarono con spirito forte e con entusiasmo quella che definiamo la Ricostruzione. Purtroppo negli ultimi tempi, per motivi che non possiamo approfondire in questa sede, il sentimento nazionale si è fortemente incrinato. Ha cominciato una parte del Nord e una parte del Sud si è accodata. Un errore grave che ha indebolito la nazione indebolendo il tessuto sociale e morale della popolazione. La crisi del coronavirus ha, almeno sembra, invertito questa distruttiva tendenza. Speriamo sia così. Il Risorgimento ha avuto i suoi limiti, l’Unità d’Italia i suoi difetti, ma i principii basilari su cui la “rivoluzione” italiana si fondava rimangono quelli che contrassegnano il progresso, la modernità. La libertà, la giustizia e la democrazia come principii inderogabili. A questo dobbiamo guardare e non farci distrarre dalle “bufale” storiografiche circolate in questi anni.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome