L’ombra dei clan sull’affare macellazione

Caserta allevamento bufale
©Lapresse allevamento di bufale a Santa Maria la Fossa.

CASERTA – In principio era la brucellosi (e il tentativo sacrosanto di eradicarla). Poi, per i numeri di bufale mandate a morire, è diventato (anche ed inevitabilmente) l’affare macellazione. 

E’ triste dirlo, ma dove c’è movimento di denaro, la criminalità organizzata si fa avanti: varia l’approccio, ma quasi sempre cerca di distendere i propri tentacoli su quella che ritiene l’occasione di turno (buona) per fare quattrini. E secondo l’avvocato Carlo Taormina, le mafie, mantenendo fede alla loro genetica, lo avrebbero fatto pure in questo caso, cavalcando brucellosi e abbattimenti. 

La denuncia

Il legale ed ex parlamentare, in una sua denuncia presentata alla Dda di Napoli, per conto  di un allevatore del Basso Volturno, ha messo nero su bianco le ingerenze (presunte) di alcune cosche (clan dei Casalesi e gruppo Fabbrocino) nel commercio delle carni. 

Quella di Taromina, che oggi raccontiamo, è una tesi forte, sconvolgente, e, precisiamolo subito, tutta ancora da dimostrare. Però potrebbe avere un merito enorme: se gli inquirenti partenopei dovessero approfondirla ed attestare l’effettiva intromissione delle mafie nel business della macellazione, ciò che da decenni orbita intorno alla gestione campana della brucellosi andrebbe analizzato e spiegato sotto una luce totalmente diversa da quella usata finora.

Gli intermediari

Al centro del sistema raccontato da Taormina ci sono gli intermediari: è attraverso tali figure che i clan sarebbero entrati a gamba tesa nel business della macellazione, sfruttando, logicamente, l’onda degli abbattimenti dettati dal piano di contrasto alla brucellosi (l’avvocato nella denuncia si riferisce a quello in vigore dal 2019, ora sostituito dal nuovo curato dall’assessore Nicola Caputo).  

Gli intermediari rappresentano un fondamentale “punto di collegamento” con i mattatoi. Si tratta di broker che vanterebbero buoni rapporti con personale dell’Asl di Caserta e dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno (Izsm) con sede a Portici, grazie ai quali riuscirebbero a sapere, ancor prima dell’allevatore, della positività dei capi alla brucella (o comunque che da lì a poco una determinata stalla avrebbe ricevuto la visita degli ispettori). 

Avendo informazioni  che in quella precisa azienda salteranno fuori capi infetti, gli intermediari si recano dal titolare proponendo di vendere loro gli animali che l’Asl ordinerà di abbattere. Insomma, stando alla denuncia, giocano in anticipo. E il tempo da loro guadagnato consentirebbe alle mafie  di controllare un importante fetta del commercio delle carni. Un business molto remunerativo.   Perché quelle comprate dall’intermediario, altro elemento evidenziato da Taormina, verrebbero vendute ad un prezzo dieci volte superiore a quello pagato all’allevatore. 

I clan

Di generico nel documento elaborato dall’avvocato c’è poco. Taormina non ha parlato a grandi linee di mafia, ma ha indicato con precisione le cosche che si sarebbero insinuate nel business della macellazione: per l’area napoletana, dice, si è mosso il gruppo Fabbrocino, radicato tra San Gennaro Vesuviano, Ottaviano, San Gennarello, Palma Campania e parte di Terzigno. La compagine sarebbe attiva attraverso un personaggio ritenuto vicino al capoclan Mario (scomparso nel 2019), conosciuto come il Boss dei due mondi. E insieme ad altri imprenditori, negli ultimi anni, avrebbe pure acquistato diversi allevamenti tra il Basso Volturno e l’Alto casertano con i quali, stando alla denuncia, ha ulteriormente incrementato la propria incidenza nell’affare (e potenzialmente anche quella della cosca). Per il territorio casertano, invece, a muoversi sarebbe stato il clan dei Casalesi attraverso una figura vicina ad un imprenditore dell’Agro aversano considerato dagli inquirenti contiguo al gruppo di Francesco Sandokan Schiavone.

I numeri 

Combattere con la brucellosi, interfacciarsi con l’Asl, accettare i no del Dipartimento di prevenzione al ripopolamento delle stalle, districarsi tra ricorsi e sentenze, per gli allevatori, se non hanno una struttura solida alle spalle, diventa estenuante. E di fronte a queste fatiche  molti alzano bandiera bianca e chiudono i battenti. In undici anni in provincia di Caserta sono scomparse 287 aziende agricole. Il numero di bufale, invece, è rimasto costante. Cosa significa? Che il sistema sta premiando le società più grandi facendo scomparire i piccoli allevamenti. E la criminalità organizzata starebbe (potrebbe) contribuendo (contribuire) ad ingrossare realtà già forti o a crearne delle altre annientando chi aveva attività a conduzione familiare, importantissime per l’economia locale.

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