In politica, come in altre questioni di vitale importanza per una nazione, il linguaggio non è forma ma sostanza. Gli antichi Greci col termine “logos”, non intendevano solo la parola ma un più ampio concetto, che spaziava oltre il semplice significato semantico, ossia: la veridicità del discorso che illustra opinioni e concetti. Gli inventori della prima civiltà erudita attribuivano al logos un significato particolare, quello dialogico, un discorso argomentato capace di fornire dimostrazioni, di dare ragioni di sé. Più semplicemente, secondo Platone, logos era il ragionamento mediante il quale si accerta la veridicità degli assunti concettuali. Troppa roba quella del logos nell’epoca attuale, quella che ci propone delle verità affermate a suon di like raccolti sui social!! Quindi ancorché i filosofi fossero forbiti e complicati i loro ragionamenti, gli antichi avevano imparato a tenersi debitamente lontani dalle verità rivelate e la politica stessa veniva filtrata dall’intelligenza e dalla coscienza degli uditori. La democrazia stessa veniva riservata a coloro che potevano ben distinguere le tesi prospettate e criticarle a prescindere dal potere che i politici incarnavano, oppure dal fascino che esercitavano sul popolo (ed i benefici che essi promettevano). Tempi remoti certamente e nozioni di Storia perdute in uno con la scuola dell’istruzione, cancellata da quella dell’accoglienza e della scadente massificazione. Un ampio prologo, il nostro, per giungere al fatto che senza le adeguate conoscenze della materia oppure delle dottrine ideologiche, e la fede che queste comportano, è ben arduo distinguere la bontà e la fattibilità dei propositi di chi intende governarci. Figurarsi per un popolo come quello italiano, ridotto all’analfabetismo funzionale, adusi a recepire la velocità delle notizie senza costrutto!! E tuttavia i mezzi di comunicazione nella loro capillare diffusione e per la diffusa dipendenza dai medesimi di una sempre più larga parte di società, danno l’impressione di poterci guidare verso il giusto ed il bene, pur privi della cultura e dei saperi che fungono da discrimine per poter adeguatamente decidere. In questo siffatto contesto a valere ed attrarre il consenso sono i discorsi generici e spesso incomprensibili che la politica sciorina ogni giorno, per dare avallo al proprio agire. Non è un caso che il mirabolante linguaggio berlusconiano, il sogno suadente, abbia attratto, per anni, il consenso degli elettori, così come il ragionamento egalitario e pauperistico assistenziale ha incantato le folle che votavano per la sinistra. In entrambi i casi i presupposti non si sono avverati ed il Belpaese naviga ancora a mezzadria tra capitalismo e socialismo, tra libera impresa, mercato di concorrenza e statalismo egemone e pervasivo. Meglio ancora se in politica si usa, come esca, la leva del moralismo e dell’onestà assoluta: quella che ha come corollario le manette e la gogna mediatica per gli avversari scomodi, innescata dal potere invadente ed irresponsabile dei magistrati politicizzati. In questa babele il linguaggio oracolante, mimetico, anfotero e generico è quello migliore per fare proseliti, perché non sceglie e non contraddice né le premesse, né le promesse elettorali. Condizioni, queste ultime, ottimali per rendersi disponibili in seguito – come partiti – ad occupare Ministeri col paravento di dovere venire incontro al solito stato di necessità istituzionale , al dovere, comunque sia, di contribuire a dare un governo al paese. Su queste identiche basi di necessità ed impellenza, condite di ipocrisia, sono nati molti esecutivi di governo. Due di essi, quelli guidati da Giuseppe Conte nella passata legislatura, costruiti su maggioranze politiche diametralmente opposte, ancorché con stessa identica leadership. In questa nazione ormai destra e sinistra si confondono, all’atto pratico, nei metodi di governo, al punto tale che nessuno si accorgerebbe del cambio di gestione al governo della cosa pubblica se non fossero alti e continui i toni dello scontro tra maggioranza e opposizione. Stimo Pierluigi Bersani per il fondo di ironia intelligente con il quale condisce il suo dire e per come ci ammannisce la rivisitazione del socialismo e dello statalismo in chiave liberal democratica. Non sembra un erede di Togliatti ma un brillante allievo di Einaudi. Tuttavia ascoltandolo in tv ho notato che l’ex leader del Pd ha continuamente negato la possibilità che possa rinascere in Italia un forte centro politico liberale, quasi come se questa sua idea fosse una verità inconfutabile. Non ha spiegato l’ex ministro il perché, però lo ha affermato categoricamente come un dato di fatto, forse per riservarsi di attribuire, a causa dell’altrui esclusione, questa prospettiva politica moderata ad una nuova tipologia di sinistra, più liberale che socialista. Purtroppo nel ragionamento bersaniano manca il logos e la prova conseguente. Egli, e chi la pensa come lui, dovrebbero dimostrare, appunto attraverso il logos, cosa ci sia di veramente liberale negli adoratori dello Stato e dei suoi monopoli, nella finanza pubblica che sperpera, nella pervasività di uno Stato onnipresente, prima di parlarci di etica politica, di rigore fiscale per poi poter finanziare la solidarietà sociale. . Ma le sibille alla Bersani, come gli oracoli, lasciano solo intendere, promettono tutto ed il contrario di tutto. Un destino a cui siamo abituati, ormai secolare più che oracolate.