Gli antichi Greci solevano dire che nessuno è mai morto finché vive nel ricordo degli uomini. In base a tale convincimento, gli ellenici impostavano la propria vita inseguendo l’ottimo nelle arti e nelle umane gesta così da raggiungere ideali di grandezza e di gloria. Un po’ come capita a quanti sono destinati ad entrare nei libri di Storia a differenza di quelli che, all’opposto, vivono solo nella cronaca quotidiana del tempo in cui vissero ed operarono. Alcide De Gasperi, indimenticabile leader politico democristiano del secolo scorso, più volte presidente del Consiglio, amava ripetere che gli statisti governano pensando al futuro, ovvero hanno come orizzonte di riferimento anche il benessere dei posteri. Più in generale la Storia ospita solo coloro che riescono a lasciare un segno duraturo nel campo delle loro attività, siano esse professionali, oppure umane e politiche. Ebbene, guardandoci in giro nel Belpaese, oggi, non notiamo molti personaggi da poter additare come eventuali futuri pretendenti ad entrare nel novero degli immortali, se non nel campo della scienza e della tecnica ove ogni tanto il genio italico riesce a fare la differenza. Lo stesso discorso vale per quei pochi poeti, artisti, scrittori, sportivi ed umanisti che si ritrovano insigniti di prestigiosi premi e riconoscimenti. Un ambito, insomma, quasi angusto ed abbastanza circoscritto a quei contesti che popolano spesso la cronaca mondana, sportiva ed artistica e che raramente, però, passano alla Storia. Insomma, per dirla con altre parole: occorre distinguere tra la caduca notorietà di cui si gode in vita e la grandezza immortale. Quando questa semplice distinzione si perde di vista, non sono pochi a ritenere di poter passare dalla notorietà della cronaca fin dentro la galleria dei grandi. Un malinteso esacerbato dal potere di cui si dispone, oppure dall’ascendente temporaneo su larghi strati della popolazione, che corrode le menti ed esalta a dismisura la considerazione per se stessi. Una massima filosofica ci ricorda che il fumo dell’incenso risulta essere il più tossico per la mente dell’uomo. Contrariamente a quanto avveniva con i pontefici romani, all’atto di indossare il triregno papale, nessuno uomo di potere oggi si sognerebbe di far bruciare alle proprie spalle la stoppa ascoltando l’ammonimento del “sic transit gloria mundi” che ricorda al capo della Chiesa quanto effimera e transitoria sia la gloria del mondo. Comunque sia, volgendo lo sguardo al mondo della politica attuale l’orizzonte appare ancora più fosco: si scorgono, infatti, solo nani e ballerine, avventizi e bellimbusti che ripetono, senza alcuna pretesa di essere creduti, le dichiarazioni di rito della propria ditta al telegiornale. In verità scomparsa la generazione di quanti si erano forgiati nella lotta antifascista, vivendo sulla propria pelle la sofferenza dell’esilio o del confino, le menti eccelse, i giganti del pensiero e dell’azione politica, si sono via via rarefatti sulla scena politica dello Stivale. Svaniti nel nulla oppure ritiratisi anche i loro eredi, in questi primi anni del secolo, le terze file sono assurte ai primi posti, confermando l’aforisma di Ignazio Silone “la politica ha consentito a molte galline di spiccare il volo”. Nell’odierno pollaio molto sono i pennuti da cortile che si credono aquile ancorché resistano quei pochi che almeno alle spalle una cultura ed una militanza fatta di scelte e di valori di riferimento ancora ce l’hanno. Uno sparuto drappello anch’esso emarginato dalla menzogna che il nuovo rappresenti, di per se stesso, una garanzia di maggior qualità. In questo deserto dei tartari spiccava, nei lustri trascorsi, una figura che dominava la scena: un affabulatore carismatico, un innovatore della prassi e soprattutto del linguaggio e del marketing propagandistico. Ricco e potente, munito dei mezzi di comunicazione divenuti decisivi nella pratica politica, costui prometteva il riscatto di quel largo strato di elettori medi e di pasciuti borghesi in nome della modernità e della libertà da uno Stato onnipotente ed onnipresente, che trasformava in sudditi i cittadini. Per ben quattro volte primo ministro, spesso con maggioranze parlamentari ampie e durature, non seppe o non ebbe interesse a fare quel che prometteva. In continuo irreversibile declino per età, per vicissitudini giudiziarie, per inclinazione allo scandalo, ora lo vediamo barcamenarsi nel teatrino della politica. Il suo nome è Silvio Berlusconi, il “Cavaliere” per antonomasia, che si presenta in Aula (dove giunge sorretto) posizionato non accanto ai senatori a vita o ai pochi politici di vaglia, bensì solitario come un vecchio leone in gabbia. Alla mercé dei giovani Meloni e Salvini, irriverenti ed ambiziosi, l’ex premier recita un ruolo da comprimario che non solo non lo consegnerà alla Storia ma stavolta neanche alla cronaca. Vederlo triste e sfatto ci amareggia. Cavaliere ci accontenti: salvi il meglio del suo passato scegliendo, al posto dello sberleffo, un decoroso oblio.
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