NAPOLI – Il crimine non paga. Frase fatta, verissimo. Ma mai è stata più opportuna per descrivere tutto ciò che è successo nelle ultime ore. Ieri mattina, dopo trent’anni, è terminata la latitanza di Matteo Messina Denaro ‘u siccu. E guai a considerarla una questione meramente siciliana. La complessa operazione, condotta dai carabinieri del Ros, che ha portato al suo arresto dà un messaggio globale: “Ogni delinquente, ovunque si trovi nel mondo, deve convivere con il rischio che, prima o poi, possa pagare per quello che ha fatto”. Parole di Alessandro D’Alessio. Parole di chi, in prima linea, ha combattuto il clan dei Casalesi e la criminalità organizzata del Litorale domizio. Per dieci anni, prima di arrivare in terra calabrese, dove dal 2021 guida la Procura di Castrovillari, da pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Napoli si è dedicato a svelare e a recidere l’intreccio tra mafia, politica e imprenditoria attivo in Terra di Lavoro. La stessa trama che, con protagonisti diversi, ha animato e anima Cosa nostra di cui ‘u siccu è un esponente apicale.
Finalmente una buona notizia: Matteo Messina Denaro è stato arrestato. Come ha reagito quando l’ha saputo?
Ho provato gioia. E il pensiero inevitabilmente è andato a chi ha perso la vita non solo per colpa di Messina Denaro, ma a causa di tutte le organizzazioni criminali. Bisogna essere felici perché questa storia dà un segnale incoraggiante.
Quale?
Chiunque delinque, stia certo, non può riposare serenamente la notte.
Ed è un monito che riguarda tutto il fenomeno criminale.
Certamente. E’ un segnale che lo Stato lancia soprattutto a chi oggi è criminale in modo diverso da come lo è Messina Denaro o, per fare esempi territorialmente a noi più vicini, da come lo sono Michele Zagaria, Antonio Iovine, Francesco Bidognetti…
Cioè?
Mi riferisco ai colletti bianchi. Anche se non si rendono protagonisti di azioni violente, inquinano il tessuto sociale. In passato sono entrati in contatto con il lato militare di queste organizzazioni ed ora ne traggono beneficio restando, però, sommersi. ‘Attenzione, perché sarete scoperti anche voi’: è il segnale che viene dato con la cattura di Messina Denaro.
Una vittoria importantissima per lo Stato. E’ innegabile, ma arriva con un po’ di ritardo…
Se uno Stato tollera o comunque è costretto a subire una latitanza lunga trent’anni è evidente che qualcosa non è andato come doveva. Qualcosa non ha funzionato. E questa è una riflessione fondamentale che deve accompagnarci mentre gioiamo per il successo ottenuto.
Quale effetto avrà l’arresto di ‘u siccu sul sistema mafia in Italia?
Non potrà più contare sulle sue capacità delinquenziali. Viene meno un uomo criminalmente dotato. E soprattutto il sistema perde il senso di invincibilità che aveva conquistato in questi decenni.
Analizzando i profili dei mafiosi che sono riusciti a sfuggire alla cattura per più tempo emerge che hanno tantissimi tratti in comune. Tutti ad un certo punto della loro ‘carriera’ hanno appeso al chiodo le armi cercando di indossare i panni di manager.
Oggi le mafie hanno un rapporto osmotico con la società civile. Hanno capito che il sangue non paga. Una riflessione che, se avesse un po’ di cervello, sicuramente farebbe Giuseppe Setola. Quanto è durata la sua latitanza? Pochissimo.
Altro elemento comune: la territorialità. Resistono tanto tempo da fuggiaschi perché scelgono di restare nei loro paesi.
Perché è più facile avere protezione. Si circondano di persone che conoscono, donne e uomini che difficilmente potrebbero tradirli. Ed è una scelta che serve anche a rafforzare il brand mafioso. Perché, non dimentichiamolo, la criminalità ha soprattutto un carattere evocativo.
Tornando a Matteo Messina Denaro, ieri con la sua cattura è stata scritta una pagina epocale. E’ innegabile. Ma si corre il rischio di commettere un errore importante: credere, adesso, che con lui sia finita anche Cosa nostra…
Non è finita Cosa nostra, non è finito il clan dei Casalesi, non è finita la ‘ndrangheta. Solo pensarlo è pericoloso. Alle mafie fa comodo far credere ai cittadini che non siano più attive. Quando si spengono le luci riescono ad operare con più forza.
E con l’arresto di Messina Denaro c’è il rischio che i riflettori si abbassino.
Il grande latitante che catalizza l’attenzione dei media, alla lunga diventa scomodo per il sistema criminale politico-massonico-imprenditoriale. Parlo di quel sistema che si fa ‘società’. Non dico che è proprio questa rete a fare in modo che venga catturato il latitante…
E adesso che non c’è più, però, potrebbe trarne dei vantaggi.
Le mafie, ripeto, per funzionare bene cercano di restare ‘immerse’. Ed è evidente con lo storia del clan dei Casalesi. Il fatto che non ci siano più omicidi riconducibili a questa organizzazione non vuol dire che sia finita. Ha imparato ad agire in modo diverso. Ed ora bisogna essere bravi ad investire su nuove professionalità che riescano a svelare e a colpire le forme che adesso ha assunto.
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