Metano, Campania in difficoltà

Metano, Campania in difficoltà
Metano, Campania in difficoltà

NAPOLI (Francesco Pari) –  Preoccupa la dispersione di metano nel nostro Paese. C’è, purtroppo, ancora tanto da fare. Una questione su cui il Paese deve intervenire al più presto, a partire dal settore energetico, dotandosi anche di una normativa stringente per rendere monitoraggi e controlli obbligatori negli impianti. A parlar chiaro i dati di bilancio finale della campagna “C’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, realizzata da Legambiente e che, grazie al supporto di Clean Air Task Force, ha monitorato e documentato le dispersioni di metano di alcuni impianti energetici della Penisola. In particolare, in Italia su 16 impianti monitorati nel 2022 e nel 2023, tra Sicilia, Campania e Basilicata e legati prevalentemente al trasporto di gas come gasdotti, centrali di compressione, impianti di regolazione e misura di gas, pozzi e centrali di trattamento e raccolta di idrocarburi, sono stati rilevati grazie all’utilizzo di una termocamera a infrarossi “FLIR GF320” circa 150 punti di dispersioni diretti. Di questi 128, fanno sapere da Legambiente, hanno a che fare con perdite, ovvero emissioni di gas fossile da bulloni, giunture, manometri, valvole, tubature e altre componenti, a testimonianza della necessità di aumentare i monitoraggi, le verifiche e gli interventi. Sono 26, in totale, invece i casi di venting (ossia di rilascio volontario di metano direttamente in atmosfera). In questo viaggio lungo la Penisola, tra gli “osservati speciali” monitorati da Legambiente il gasdotto Greenstream, in Sicilia, che collega la Libia all’Italia e la centrale di compressione di Melizzano, in Campania in provincia di Benevento, che rappresenta un’infrastruttura strategica per il Paese visto che attraverso di essa passa buona parte del gas importato dal sud Italia e spinto verso nord. In entrambi gli impianti sono state registrate perdite di metano. 

Un quadro quello tracciato dalla campagna “C’è puzza di gas” in sintesi preoccupante e che ha portato alla luce numerose criticità, a partire da uno stato generale delle infrastrutture caratterizzate da scarsa manutenzione, da un massiccio utilizzo di pratiche di venting e la mancanza di dati pubblici. Senza contare che il metano ha impatti sull’ambiente e sul clima. Se immesso direttamente in atmosfera può avere infatti un effetto fino a 86 volte più climalterante dell’anidride carbonica per i primi 20 anni. Si stima che a livello globale nel 2021 siano stati emessi in atmosfera ben 126 miliardi di metri cubi di gas solamente dal settore oil and gas, un enorme spreco di risorse oltre ad una minaccia per il clima. Un dato che va affiancato dalle attività di flaring, ovvero combustione in torcia, attraverso le quali nel 2021 sono stati sprecati 144 miliardi di metri cubi di gas (IEA, 2023).  Per questo l’associazione ambientalista rilancia oggi un appello al Governo Meloni affinché si definisca e si adotti una normativa stringente che preveda monitoraggi e comunicazione (MRV), ma anche interventi di rilevamento e riparazione delle perdite di metano (LDAR). In questa direzione, ad esempio, introdurre l’obbligo mensile di condurre attività di rilevamento e riparazione, secondo lo US EPA, garantirebbe una riduzione delle emissioni del 90%. Dell’80% con una frequenza trimestrale, del 67% semestrale. Allo stesso tempo Legambiente chiede all’Esecutivo un’inversione di rotta per un graduale abbandono delle fonti fossili, fanno sapere dall’associazione che si occupa dell’ambiente. Osservata speciale la Centrale di Compressione di Melizzano, in Campania, dove sono stati individuati più di 30 punti di emissione, dei quali 9 casi di venting e tra 20 e 25 casi di perdite, risultate complesse da individuare nello specifico a causa della quantità di gas trovato e della distanza dalla quale sono state realizzate le riprese. In questo impianto, come nel bypass di Melizzano, secondo Legambiente desta particolare preoccupazione il flusso continuo e costante di gas fossile rilasciato volontariamente in atmosfera (venting di routine), ripreso da Legambiente e CATF per ben tre giorni di fila. Emissioni che erano già state rilevate dalle indagini condotte da CATF il 9 aprile 2021. In Basilicata, in uno degli impianti di regolazione e misura situato nei pressi di Moliterno sono state identificate ben 11 fonti di emissione, di cui due per rilascio e 8 perdite da tubature, valvole e connettori. “La crisi energetica del 2022, segnata anche dall’aggressione militare russa in Ucraina, ha mostrato in maniera chiara a imprese, cittadini e amministrazioni pubbliche tutti i limiti della dipendenza italiana ed europea dalle fonti fossili. Una situazione – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – che in Italia rischia di peggiorare alla luce non solo delle sostanziose politiche di diversificazione degli approvvigionamenti di gas fossile, ma anche a causa dello sviluppo delle nuove infrastrutture fossili su cui ha intensamente lavorato il Governo Draghi per affrontare il tema della dipendenza dal gas russo e che il nuovo Esecutivo Meloni sta proseguendo proponendo al Paese e al mondo l’Italia come il principale hub del gas dell’Europa. Una scelta totalmente sbagliata perché il nostro Paese deve diventare l’hub delle rinnovabili e non quello del gas”. “Nella lotta alla crisi climatica e per centrare gli obiettivi climatici, l’Italia – aggiunge Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente – deve anche accelerare il passo nella riduzione delle emissioni di metano e dotarsi di una normativa stringente che imponga un’attività di monitoraggio, di misura e intervento costante degli impianti come abbiamo raccontato in questi mesi con la nostra campagna C’è puzza di gas. Una campagna che ha avuto anche l’ambizione di raccontare un tema decisamente poco noto e discusso informando i cittadini, ma anche parlando al mondo della politica. In questo quadro è anche importante che l’Italia abbia anche un ruolo da protagonista in Europa, spingendo verso la definizione di un regolamento europeo, in discussione in questi mesi, che sia ambizioso e lungimirante con norme stringenti per le importazioni di idrocarburi dall’estero”. In soli due anni di attività, su circa 65 impianti monitorati, ben 42 hanno presentato emissioni significative, 7 dei quali monitorati per più di una volta, per un totale di circa 253 punti di emissione. Così non va. 

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