La presentazione del rapporto annuale dello Svimez sullo stato del Mezzogiorno assume, ormai, le sembianze di un macabro rito. Anche quest’anno il quadro è nero. Il divario con il centro nord aumenta in una prospettiva resa ancora più grave giacché anche il nord e l’intera Europa crescono poco. Si spegne anche la speranza di qualche locomotiva che possa trainare le carrozze del malandato treno italiano e meridionale. L’emigrazione, soprattutto quella giovanile aumenta, gli investimenti pubblici sono crollati. L’unica nota positiva l’aumento dell’occupazione nel settore della cosiddetta bio economia. I poveri ricercatori, con in testa il presidente, provano a dare qualche consiglio, ad indicare qualche via. Il mezzogiorno potrebbe diventare, suggeriscono, la piattaforma green del Paese in coerenza con le intenzioni del Governo di promuovere un nuovo grande piano verde per rilanciare l’economia italiana. Da anni invitano ad investire nelle infrastrutture materiali e immateriali, diciamo così, il minimo per poter ripensare politiche di sviluppo per il Mezzogiorno. Da anni provano a convincere la classe politica e la classe dirigente italiana che se non cresce il sud non crescerà l’Italia, sottolineano che investire nelle regioni meridionali può essere vantaggioso proprio perché vi sono maggiori possibilità di espansione rispetto ad altre regioni che, per così dire, hanno già raggiunto livelli probabilmente insuperabili. In questo senso sono gli ultimi rappresentanti della grande tradizione meridionalista la quale non chiudeva gli occhi nei confronti delle deficienze politiche e sociali del sud per non chiuderli di fronte alle inadempienze delle politiche oggettivamente nordiste di quasi tutti i governi italiani. Meridionalisti che riuscivano a guardare la questione, la questione meridionale, in tutta la sua complessità, come questione italiana, europea e come questione sociale. Ecco il punto: l’assoluta incapacità della classe politica, della classe dirigente e degli intellettuali ad affrontare la persistente questione meridionale alla quale si è affiancata una questione settentrionale, con gli strumenti conoscitivi adatti, con passione e sincerità. Così proliferano campanilismo e razzismo sui quali speculano politici del nord e falsi intellettuali del sud.
In queste stesse ore l’ArcelorMittal annuncia il ritiro dalla ex Ilva di Taranto. Sono a rischio migliaia di posti di lavoro, un disastro per l’intera città, un colpo non solo all’economia del Sud ma dell’Italia intera. Di fronte ad una tale tragedia ci si aspetterebbe dal Governo, dai partiti di opposizione, dai sindacati e dall’opinione pubblica una discussione franca e sincera, protesa a risolvere la questione. Assisteremo, credo, ad un insopportabile teatrino nel quale ognuno cercherà di lucrare un po’ di effimero successo, semmai in vista delle elezioni regionali dell’Emilia Romagna. Mi auguro di no ma ho poche speranze. Il cammino sarà lungo e tortuoso. Continuo a ritenere l’orizzonte europeo quello entro il quale ci dovremmo dirigere per superare le beghe nazionali, per rendere meno perniciose le superficiali demagogie che infestano il dibattito politico nostrano. Non si sa mai, la speranza è l’ultima a morire.