MONDRAGONE – “È successo quello che doveva succedere. Mi ha tolto la dignità di uomo e di padre”: sono le parole che, con ancora le mani e i vestiti sporchi di sangue, ha pronunciato Giancarlo Pagliaro, 67enne, imprenditore, dopo aver ucciso Luigi Magrino, 41enne di Cellole. Parole ascoltate e riferite da un carabiniere (non in servizio) che ha assistito alla parte finale della tragedia consumatasi lunedì mattina alla stazione Eni Station – De Martino. E la testimonianza del militare, insieme a quella delle altre persone lì presenti, si è rivelata importante (e lo sarà anche nel futuro processo) per far luce sul delitto, perché sono gli unici elementi con cui poter ricostruire l’accaduto, dato che le telecamere del distributore di carburanti -, situato lungo la Domiziana – erano fuori uso.
La testimonianza del militare
Il carabiniere ha raccontato ai suoi colleghi di aver visto Giancarlo Pagliaro, patron del noto mobilificio ‘Franchino’, sul sedile passeggero, che aggrediva Luigi Magrino, accomodato sul lato guida di una Jeep bianca, e una terza persona, un parente del titolare della stazione di servizio, che provava a tirare fuori dall’abitacolo proprio Pagliaro. Avvicinandosi, il militare si è accorto che la persona al volante era priva di vita e così, compresa la gravità dell’accaduto, ha subito allertato i colleghi.
Il racconto dell’amico
Decisivo per contestualizzare quanto successo e tracciarne la dinamica è stato anche il racconto fatto proprio dall’uomo che aveva cercato di tirare fuori Pagliaro dall’auto. Erano amici: si conoscevano da quando erano bambini. Agli investigatori ha riferito che Giancarlo e Magrino si frequentavano da diverso tempo e ha dato informazioni anche sulla presunta ragione che li legava: il denaro.
Il patron del mobilificio avrebbe iniziato ad avere problemi economici e a complicare il tutto ci sarebbe stato – ha riportato il testimone – un controllo delle fiamme gialle conclusosi con una sanzione di oltre mezzo milione di euro. E qui entrerebbe in gioco Luigi Magrino. In che modo? Avrebbe raccontato a Pagliaro la possibilità di garantirgli quella cifra, per far fronte alla sanzione, grazie a una polizza, che però era bloccata. E per ‘liberarla’ erano necessari 10mila euro. Pagliaro avrebbe dato questa somma, ma in poco tempo si rivelò insufficiente: cominciò a lievitare costantemente e così, da quella che era una potenziale truffa – perché il mezzo milione in prestito ormai appariva evidente che non sarebbe mai arrivato – si sarebbe trasformata in un’estorsione.
Pagliaro, stando al narrato del suo amico, era arrivato a versare circa 200mila euro a Magrino e quest’ultimo, per avere altri soldi aveva anche inviato delle persone da lui per convincerlo a pagare.
Altri aspetti: il 67enne di Mondragone e il 41enne di Cellole, in varie occasioni, sarebbero arrivati anche alle mani e Magrino avrebbe minacciato pure di far del male ai figli di Pagliaro.
La mattina prima della tragedia, il testimone ha riferito di aver incontrato proprio Pagliaro a quello stesso distributore, che si trova a poca distanza da uno dei punti vendita del mobilificio. E in quella circostanza Pagliaro gli disse che probabilmente proprio quel giorno Magrino avrebbe sbloccato la polizza per dargli il denaro atteso. Effettivamente i due si vedranno, ma l’appuntamento non è andato come l’imprenditore sperava.
I movimenti di Pagliaro
Le telecamere della Eni Station, come detto, non erano funzionanti, ma ne erano attive altre che mostrano come Pagliaro, alle 10 e 40, dopo l’omicidio, fosse entrato in un negozio di detersivi lì vicino (di un suo parente) per dirigersi in bagno e pulirsi le mani dal sangue. Poi viene inquadrato mentre si dirige nuovamente sul luogo del delitto (non pienamente inquadrato), dove è stato bloccato dai carabinieri.
L’udienza di convalida
Pagliaro, nel corso dell’udienza di convalida del fermo tenutasi ieri, non ha risposto alle domande del giudice Rosaria Dello Stritto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ma ha reso una dichiarazione spontanea in cui ha riferito che l’arma usata per assassinare Magrino era stata da lui trovata nel portaoggetti del lato passeggero, situato tra i due sedili, dell’auto della vittima. E Magrino, per spaventarlo, gli aveva mostrato proprio quell’arma. Da qui sarebbe nata la colluttazione che aveva determinato anche delle ferite al labbro di Pagliaro. Poi i colpi.
L’imprenditore ha raccontato di aver lasciato cadere l’arma, ma di non ricordare dove. E proprio la semiautomatica è uno dei gialli della vicenda. Non è stata trovata. Dai bossoli rinvenuti si sa che si tratta di una calibro 6,35. Chi l’ha recuperata? Chi se ne è liberato? A questi quesiti il prosieguo dell’indagine dei carabinieri del Reparto di Mondragone, guidati dal tenente colonnello Antonio Bandelli, proverà a dare una risposta.
Gli immediati controlli dei militari hanno rinvenuto all’interno della vettura in uso a Magrino anche un manganello in acciaio e un caricatore vuoto. Il giudice Dello Stritto, ieri, a conclusione dell’udienza, accogliendo la tesi degli avvocati Antonio Miraglia e Alfonso Quarto, ha ritenuto che non ci siano elementi tali da dimostrare che l’azione omicidiaria sia frutto di una premeditazione; al contrario, si sarebbe trattato di un omicidio d’impeto. Non può essere contestata neppure l’aggravante dei futili motivi, dato che il movente è poco chiaro e, qualora fosse realmente di carattere economico, la cifra in ballo era esosa e determinata da una truffa probabilmente mutata in estorsione.
Seppur non ci siano aggravanti, il giudice ha ritenuto brutale l’episodio e l’atteggiamento di Pagliaro sprovvisto di autocontrollo. Per tale ragione ha convalidato l’arresto e disposto il suo trasferimento in carcere.
L’indagine, coordinata dal pubblico ministero Stefania Pontillo, è chiaramente ancora nella sua fase iniziale.
Ieri, Pagliaro ha preferito non parlare dei legami con Magrino, ma è possibile che lo faccia nei prossimi giorni. Allora, il quadro della triste vicenda assumerà contorni più definiti, e si avrà la possibilità di capire se il possibile movente legato alla truffa, raccontato dall’amico dell’indagato agli investigatori, sia veritiero o meno o, non è da escludere, se ci sia dell’altro.
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