Mottarone: a un anno dalla tragedia vicini agli esiti della perizia sulla rottura della fune

"La nostra comunità chiede giustizia e la chiede in fretta"

La funivia del Mottarone (Foto Piero Cruciatti / LaPresse)

MILANO – “La nostra comunità chiede giustizia e la chiede in fretta”. La sindaca di Stresa, Marcella Severino, riassume così a LaPresse il pensiero dei cittadini a un anno dalla strage della funivia del Mottarone, nel Verbano, quando una cabina dell’impianto è caduta.

Quattordici vittime, quattordici indagati, tra persone e società. E’ ancora da sciogliere uno dei due nodi cruciali dell’inchiesta: perché si è rotta la fune traente dell’impianto? A dare qualche risposta saranno gli esiti delle perizie che dovranno essere consegnati entro il 30 giugno. Il 15 luglio saranno discussi in aula, per chiudere l’incidente probatorio aperto ormai quasi un anno fa per accertare “le cause della precipitazione della cabina”.

Quel 23 maggio 2021 alle 12.30 sono successi due fatti distinti: si è rotta la fune, poi i freni d’emergenza non hanno funzionato. Sul secondo punto però sono emersi subito dettagli rilevanti: il caposervizio Gabriele Tadini aveva ammesso di non aver tolto i ‘forchettoni’ che, se inseriti, impediscono al freno di entrare in funzione: è stato posto ai domiciliari, scaduti per lui lo scorso novembre. “Non vuole parlare. Cerca di elaborare il lutto, l’anniversario lo fa ripiombare in quella settimana infernale, da quando è successa la tragedia a quando lo hanno arrestato”, spiega il suo legale, Marcello Perillo. Alcune testimonianze avevano poi portato a incarcerare anche Luigi Nerini, gestore dell’impianto, ed Enrico Perocchio, direttore d’esercizio. La vicenda che li riguarda è stata travagliata: pochi giorni dopo, l’allora gip Banci Buonamici li aveva rimessi in libertà. La sentenza del tribunale del Riesame di Torino, al quale la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi aveva fatto ricorso, ne aveva chiesto i domiciliari. Ma la Cassazione pochi giorni fa ha annullato la sentenza: le motivazioni sono attese proprio in questi giorni e potrebbero fare luce su alcune presunte responsabilità. Per questo i legali dei due, Andrea Da Prato e Pasquale Pantano, non commentano. Oltre a loro, ci sono altri 11 indagati: ci sono i vertici di Leitner, che doveva fare la manutenzione dell’impianto, alcuni dipendenti. Ma il nodo cruciale resta la rottura del cavo. Un’ipotesi “impossibile” per Tadini, che aveva sempre dichiarato di aver escluso nelle sue considerazioni che questa rottura potesse verificarsi.

Ci si concentra sul manicotto dove passava la fune. “Tadini ha sempre detto di aver escluso la possibilità della rottura della fune: se si fosse rotta per mancata manutenzione sarebbe gravissimo” ripete a LaPresse il suo legale, Perillo. Ma ancora occorre prudenza. Nonostante molte anticipazioni, secondo alcuni periti di parte mancano alcune analisi fondamentali come quella sulla fatica dei materiali: difficile quindi iniziare a fare ipotesi. Certo è che dalla procura trapela che la perizia potrebbe cambiare tutto: potrebbero esserci nuovi indagati o potrebbe essere stralciata la posizione di qualcuno. Secondo alcuni legali è ancora da chiarire il ruolo dell’Ustif, l’Ufficio Speciale Trasporti a Impianti Fissi, che dovrebbe controllare gli impianti a fune: a luglio alcuni legali delle parti offese avevano chiesto di estendere anche all’Ustif l’incidente probatorio, richiesta rifiutata dalla nuova gip Elena Ceriotti. Gip andata poi in pensione: altro cambio, altra attesa.

L’analisi è stata lunga: i resti della cabina sono stati spostati solo l’8 novembre 2021, quasi sei mesi dopo il crollo. Nel frattempo, dicono le parti, “qualcosa potrebbe essersi corroso”. Poi, altri sei mesi per avere la perizia, sperando non ci sia un nuovo rinvio: la prima data per gli esiti era lo scorso dicembre. Ma, ricorda la procura, le indagini sono lunghe perché certosine e di cruciale importanza.

Al lavoro preliminare hanno contribuito in tanti: i vigili del fuoco hanno gestito lo spostamento della cabina con l’elicottero, mentre i carabinieri sono stati tra i primi sul posto ad aiutare, insieme al Soccorso Alpino. “C’è stato subito coordinamento tra gli enti present, nonostante la tragedia – spiega a LaPresse Alberto Cicognani, comandante dei carabinieri del Vco – ma siamo riusciti a lavorare coordinati e con grande professionalità. E’ l’unica cosa positiva che possiamo vedere in una tragedia del genere”. I vigili del fuoco hanno curato alcuni passaggi cruciali per la perizia: “È stato un lavoro delicato e impegnativo ma svolto con grande sforzo di coordinamento” ricorda a LaPresse il comandante Roberto Marchioni. Sui prossimi step ora c’è il massimo riserbo: è solo con la perizia in mano che si potrà capire come procedere. “Per andare avanti il territorio, la comunità, le famiglie hanno bisogno di giustizia” insiste ancora la sindaca Severino.

di Camilla Cupelli

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