Muri che (non) crollano

Vincenzo D'Anna

Siamo in molti ad aver creduto che il crollo del muro di Berlino, nel lontano novembre del 1989, potesse essere considerato il certificato di morte del cosiddetto “socialismo reale”, formula politica con la quale le società comuniste dell’est europeo erano solite identificarsi. Così purtroppo non è stato. Più volte, infatti, le sinistre europee e, in particolare, quella italiana, hanno tentato di far risorgere per quanto possibile quel modello, sia pur edulcorandolo con la formula dello “Statalismo”, ovvero l’idea che l’apparato centrale dovesse in qualche modo prevalere sugli individui e sulle loro libertà. In poche parole, si inseguiva l’illusione velleitaria che dalle ceneri del marxismo potesse sorgere una società etero diretta da un apparato centrale in grado di gestire le cosiddette libertà positive, quelle che per essere godute dovevano essere autorizzate. Di converso, in quel meccanismo, venivano ridotte al minimo le libertà negative, ovvero le prerogative e i diritti spettanti ai singoli cittadini che non erano, però, nella disponibilità dello Stato e che come tali potevano essere autonomamente esercitate. Tutto questo, almeno in Italia, è accaduto anche grazie alla presenza di una carta costituzionale che, lo ricordiamo, fu redatta nel periodo in cui forze liberali e libertarie erano pressoché equivalenti a quelle laico socialiste e marxiste. Da qui un necessario compromesso tra due visioni antitetiche sia dello Stato, sia delle prerogative dei cittadini. Tra queste non mancava quella di poter liberamente intraprendere e godere dei diritti naturali. Attenzione però. Corollario di questa situazione era l’invadenza e l’elefantiasi della burocrazia. Quella che elargiva autorizzazioni a tutto spiano. In tal modo anche l’iniziativa privata diventava soggetta al vincolo di dover assecondare il bene sociale. Di conseguenza il profitto privato finiva per essere aborrito, considerato come il prodotto di un esercizio non allineato ai canoni del bene pubblico, ovvero dei profittatori. Ora, questa originale zoppia del sistema, giunta fino ai giorni nostri, è rimasta un limite caratteristico del sistema politico sociale ed economico italiano, ove tutto quello che non passa per le mani del potere centrale viene, al massimo, “tollerato”. Per dirla con altre parole: è l’araba fenice risorta con lo Statalismo, sia pur condita da norme e istituzioni democratiche. Un lungo prologo, il nostro, per dire che non è bastata la morte dei soviet e la disgregazione dell’Urss per cancellare l’illusione del socialismo reale. Sì, perché se mentalità, luoghi comuni (favorevoli al dominio del potere statale) e meccanismi burocratici che ne discendono, restano immutati, se tutto rimane ancorato a questa visione dello Stato, la gestione dello stesso non potrà che rivelarsi immutata qualunque sia il colore del governo che la rappresenti. Di conseguenza, senza riformare la Magna Carta e le istituzioni politiche, le libere elezioni risulteranno inefficaci a garantire il reale cambiamento socio economico. Ma c’è di più. Occorre infatti che cada anche un altro muro: quello della cosiddetta diversità morale, quella di cui si fregiano i politici di sinistra, statalisti per antonomasia. Quanto più bolso, ridondante, onnipotente e monopolista sarà lo Stato, tanta alta sarà la probabilità della corruzione. Le società costruite sotto l’imperio assoluto degli apparati centrali si sono sempre contraddistinte per le nomenclature inamovibili come classe dirigente e per la forte incidenza del “pubblico” nella vita dei cittadini. Ogni timbro da apporre o parere da dare su pratiche da autorizzare, ogni griglia di selezione dei requisiti e dei meriti diventa fonte di discriminazione e di discrezionalità. Se il potere corrompe, quello assoluto corrompe assolutamente. Se il popolo diventa suddito, non godrà mai di diritti inalienabili. In questo pantano cresce rigogliosa la mala pianta della corruzione e delle clientele politiche, dell’arbitrio e dei favoritismi. In questo contesto devono leggersi i recenti esempi che hanno portato alla luce gli scandali dei centri di accoglienza dei migranti e il “Qatargate” a livello europeo. In entrambi i casi i coinvolti sono personaggi che militano nella sinistra antagonista, quella che maggiormente idolatra lo Stato e la società degli eguali che non conosce giustizia meritocratica. Coloro che professano la religione statalista credendo che laddove manchi il profitto ci sia una superiorità morale dei fini, un onestà ontologica dell’agire in nome del bene comune, o sono  sciocchi o sono  corrotti nel mentre declinano l’onestà. La mancata riforma dello Stato, il ridimensionamento delle sue funzioni in base a criteri di libertà, merito ed efficienza, ha creato la crisi del sistema statale. Con essa  ogni giorno resiste  il muro costruito sulla menzogna di una presunta superiorità etica degli adoratori dello Stato.

*già parlamentare

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