Napoli e camorra, in Svizzera il tesoro di Di Lauro

Secondigliano, il boss lo ha affidato alla rete dei magliari che era ai suoi ordini quando si occupava della vendita di trapani e giubbotti in finta pelle. I proventi illeciti ‘trasformati’ in diamanti seppelliti in terreni incolti acquistati dalla cosca.

NAPOLI – Paolo Di Lauro era un manager del malaffare. Pianificava e non improvvisava mai. Quando si trattava di soldi, poi, il discorso si faceva ancora più serio. Prima di essere arrestato nel 2005, avrebbe affidato la gestione del suo patrimonio a un ristretto numero di persone di sua assoluta fiducia. “Per quanto riguarda le ingenti ricchezze di Di Lauro, egli prima di essere arrestato ha dato indicazioni a soggetti che solo a lui facevano riferimento circa la gestione delle attività da lui impiantate in diverse parti del mondo con i soldi provento della droga”.

Vicende suffragate dal racconto di Maurizio Prestieri: “Se proprietà in Grecia sono gestite da Pasquale ‘a carogna, quelle in Francia sono gestite da Pietro ‘London’ e sono incentrate tutte a Parigi dove il Di Lauro ha negozi, appartamenti e qualche ristorante che gestisce anche Pietro”. Il boss, tuttavia, avrebbe investito anche nel settore finanziario ‘dirottando’ parte dei capitali illeciti su alcuni conti svizzeri. Nel paese elvetico, a gestire gli affari del clan, sarebbe un altro ‘contabile’ del padrino che si occuperebbe di ‘far girare il denaro’. Quali siano, però, i conti e gli istituti di credito utilizzati per le operazioni, non si è scoperto.

Quello che tuttavia sembra certo è che Paolo Di Lauro abbia escluso dalla gestione economica i suoi stessi figli, preferendo affidarsi a degli ‘esperti’. I ‘rampolli’ del padrino, a loro volta, avrebbero investito ingenti somme in altre attività con il solo scopo di riciclarli. Vincenzo Di Lauro, ad esempio, avrebbe ‘ripulito’ i soldi investendoli in alcune piattaforme telefoniche e nell’acquisto di barche, alcune delle quali erano ormeggiate a Rimini. Anche Cosimo Di Lauro, così come i fratelli Marco, Nunzio e Ciro, si sarebbe servito di riciclatori. Investimenti che sarebbero serviti ad accrescere il ‘patrimonio di famiglia’ al punto che i soldi delle attività illecite e, in particolare, delle piazze di spaccio sono state esclusivamente utilizzate per il mantenimento degli affiliati e delle loro famiglie.

Dettagli che emergono anche dai verbali di Carlo Capasso, ex killer e molto vicino ai vertici del clan: “Ho appreso da Giuseppe Pica che Pasquale riciclava i soldi di Paolo Di Lauro. Pica mi disse che aveva negozi in Grecia ed in Belgio allestiti con i soldi di Paolo Di Lauro. […] In questi negozi si vendevano trapani. I trapani erano contraffatti nel senso che si costruivano in Cina poi venivano spediti nei negozi in Grecia ed in Belgio gestiti da Pasquale ‘a carogna. Era in questi negozi che venivano apposti i marchi falsi tra cui ‘Black & Decker’ ed altre marche importanti nel campo dei trapani”.

E ora? Il clan Di Lauro è più che mai in salute. Di questo gli investigatori sono convinti. La sua struttura, la sua spina dorsale, negli anni, non son cambiate. Vocazione imprenditoriale su uno sfondo di malaffare, ovvero con proventi che derivano da business illeciti. Imprenditoria criminale che starebbe nuovamente intrecciandosi con l’economia ‘pulita’, quella sotto gli occhi di tutti. Le grandi piazze di spaccio presenti nel rione dei Fiori, il famigerato Terzo Mondo sono chiuse da tempo. Sopravvivono piccoli punti vendita. Il sistema è cambiato. La spiegazione è che il clan “ha cambiato pelle”.

E allora i soldi (tanti) che continuano ad entrare nelle casse di famiglia, sarebbero state investite in negozi e locali (bar e pizzerie) in particolare a Secondigliano. Attività pulite dietro le quali si staglierebbe l’ombra lunga della cosca. Abbandonate le attività prettamente criminali, ritenute non solo troppo rischiose ma anche dispendiose, i vertici dell’organizzazione fondata dal boss Paolo, negli ultimi mesi, si sarebbero dedicati anche ad altre attività, come la riorganizzazione della loro vecchia rete di magliari, altro business che fece le fortune del sodalizio. Il volare basso è funzionale ad avere meno visibilità possibile e meno attenzione possibile da parte di magistratura e forze dell’ordine. Perché tre faide hanno insegnato che quando i riflettori dello Stato sono puntati gli affari, quelli sporchi, vanno a rotoli. Non solo. Al vertice del clan ci sono i figli del boss, quelli liberi. Ma l’eminenza grigia resterebbe quella del capostipite, il padre, Paolo Di Lauro.

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