Napoli e camorra, seimila euro al mese per uccidere

Spunta il prezzario degli ‘stipendi’ per i componenti delle batterie di fuoco. Circa 2500 euro al mese la paga degli esattori delle estorsioni, di più a quelli che sparano. Ottomila ai capi

NAPOLI – “Quando si pentirà uno dei capi dei Contini, allora l’Alleanza di Secondigliano sarà finita”. L’affermazione viene attribuita a Luigi Giuliano, l’ex re di Forcella, poi passato a collaborare con lo Stato. Per anni quello dei Contini è stato indicato come il clan che senza pentiti. Nessuno di vertice, almeno perché di collaboratori di giustizia, di voci di dentro del clan ce ne sono e ce ne sono state. Una è quella di Vincenzo De Feo, i cui verbali continuano ad essere annessi ai provvedimenti che riguardano la cosca del Vasto, malgrado il collaboratore dia deceduto in carcere per un male incurabile poco tempo fa.

Nei suoi verbali si parla di ‘mesate’, ovvero di stipendi erogati agli appartenti all’organizzazione fondata da Edoardo Contini. E in questi verbali si scopre che gli stipendi non sono tutti uguali. “Si tratta di una mesata differenziata a secondo dei compiti e dell’importanza nel clan – spiega De Feo – Si va dai 2.500 euro al mese ai 5.000-6.000 al mese per quelli che fanno le estorsioni e sparano”. Essere un killer del clan è un lavoro ben remunerato, dunque. Ma c’è chi guadagna di più. “Fino agli 8.000 euro al mese sono previsti per responsabili”.

Teodoro De Rosa è un collaboratore ‘fresco’ e informato. Oltre che giovane, avendo poco più di trent’anni: I suoi racconti sulle dinamiche interne all’organizzazione hanno il ‘taglio’ prospettico di chi ha toccato con mano, di chi ha visto. Di chi sa. In un verbale racconta di Giuseppe De Rosa. Aveva rischiato di essere condannato a morte da Patrizio Bosti, ma Salvatore Botta era intervenuto infliggendo a De Rosa una punizione ben più lieve.

Al riguardo il pentito riferisce: “Ricordo un aneddoto in cui Giuseppe De Rosa venne percosso da Salvatore Botta su richiesta di mio padre come ritorsione per il fatto che o buffone continuava a litigare con Giovanni che in quel periodo era protetto da mio padre perché era suo collaboratore nella gestione dei supermercati. Mio padre disse a Botta ‘o lo picchi tu o lo faccio io o mando l’imbasciata direttamente a Patrizio’. Con il ché minacciava un intennto ben più grave perché il Patrizio l’avrebbe mandato a sparare. Botta decise di picchiarlo e non fare una brutta figura”. Poi Teodoro De Rosa, nell’interrogatorio del 26 giugno 2015 dichiarò: “Conosco questa persona; fa di cognome De Rosa ed è figlio di Peppe o buffone. Lui è legato alla figlia di Tonino della Vanella Grassi, uomo dei girati di Di Lauro”.

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