MADRID – “Il mondo è cambiato, anche la Nato sta cambiando”. A riassumere il senso del vertice di Madrid le parole del presidente americano Joe Biden, che definisce il summit “storico”, e che lascia un presentimento. Il nuovo assetto geopolitico sarà ormai dominato dalla frattura tra l’Occidente da una parte e la Russia e la Cina dall’altra. La reazione di Mosca all’ampliamento dell’Alleanza atlantica e alla menzione di “principale minaccia diretta” nel nuovo Concetto strategico, non fa che certificare tale divisione in due blocchi.
La “cortina di ferro” tra Russia e Occidente “sta già scendendo e questo processo è stato avviato”, ha rimarcato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, prende atto dei messaggi di Mosca, che a volte sono anche diversi tra loro, ma questo “non cambia molto” sul fatto che Finlandia e Svezia aderiscono all’Alleanza. “Siamo lì per proteggere tutti gli alleati e, naturalmente, anche la Finlandia e la Svezia – ha affermato l’ex premier norvegese – e siamo preparati a tutte le eventualità”.
Da Mosca continuano a ritenere valido l’Atto istitutivo Russia-Nato che nel 1997 segnò un salto di qualità nelle relazioni tra i due blocchi. Secondo il Cremlino le decisioni prese dalla Nato al vertice di Madrid “violano gravemente” tale atto, che prevedeva un obbligo per l’Alleanza “di non schierare in modo permanente forze di combattimento significative sul territorio dei nuovi membri – intendo dell’Europa orientale – della Nato”, ha tuonato il capo della diplomazia russa. Mosca ha fatto sapere che “analizzerà la situazione”, e lo stesso Lavrov ha precisato che “l’atto costitutivo continua ad esistere” perché non è stata “avviata la procedura per la risoluzione di questo accordo”.
A Madrid il vertice si è chiuso con un focus sul fronte Sud dell’Alleanza, con i conflitti e le minacce terroristiche nel Nord Africa, nel Sahel e nel Medioriente. “L’insicurezza in queste regioni ha un impatto diretto sulla sicurezza di tutti gli alleati”, ha affermato Stoltenberg, ricordando che la missione di addestramento in Iraq sta aiutando a prevenire il ritorno dell’ISIS e che “per la prima volta abbiamo appena concordato un pacchetto di rafforzamento delle capacità di difesa per la Mauritania che aiuterà ad affrontare la sicurezza delle frontiere, la migrazione irregolare e il terrorismo”. E proprio il terrorismo è stato il tema che ha innescato più frizioni in questi giorni di vertice, con la difesa a spada tratta di Stoltenberg delle posizioni turche pur di arrivare a strappare l’accordo per l’adesione di due paesi di peso come Svezia e Finlandia.
A conti fatti il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, esce vincitore da questa sfida e incassa anche il sì di Biden sulla vendita dei jet F-16. La sua conferenza stampa è stata programmata in coda a tutte le altre dei vari leader, Biden compreso, ed è stata quella che ha sollevato più domande effervescenti da parte della stampa. Con piglio icastico il sultano turco ha affrontato tutte le critiche e respinto al mittente le accuse di mancanza di libertà di espressione e di repressione dei media.
Le organizzazioni che ci accusano vengano a vedere le vittime del terrorismo nel nostro paese, ha detto rispondendo a chi gli citava i rapporti di Freedom House e arrampicandosi sul concetto che libertà inizia dove finisce quella degli altri. Le sue richieste di estradizione, che Svezia e Finlandia hanno accettato ma che stanno sollevando un putiferio nei rispettivi paesi, sono basate su prove schiaccianti dell’intelligence di legami col terrorismo. Il punto è capire cosa Ankara intenda per terrorismo. Erdogan ha riferito che la Svezia ha promesso di estradare 73 persone legate, a suo dire, al Pkk e al Feto.
Ora i governi di Helsinki e Stoccolma dovranno fare i conti con la loro legislazione per procedere con le estradizioni e con il malcontento che monta nei rispettivi paesi su questo accordo. L’Ue ha inserito da tempo il Pkk nella lista delle organizzazioni terroristiche, anche se una sentenza della Corte Ue non li aveva considerati tali, mentre per il Feto non vi è alcuna menzione a riguardo. Il suo fondatore, Fethullah Gülen, è invece considerato da Erdogan il suo principale oppositore perché lo ritiene responsabile del fallito colpo di Stato del 2016. Accuse, tra l’altro, respinte dagli Usa che negano da anni le richieste di estrazione avanzate da Ankara.
L’accordo è fatto ma la firma finale al memorandum e la ratifica del Parlamento di Ankara non ci sarà fino a quando Svezia e Finlandia non abbiano rispettato le loro promesse, ha avvertito il presidente turco. E ha citato il caso della Macedonia del Nord, che ha dovuto attendere anni per veder risolta la controversia sul nome con la Grecia ed entrare nell’Alleanza. L’auspicio degli alleati è che al vertice del prossimo anno a Vilnius, in Lituania, i leader siano già 32, Erdogan permettendo.(LaPresse)