‘Ndrangheta: arresti per narcotraffico a Gioia Tauro, fermati anche portuali

L'operazione che questa mattina ha smantellato l'organizzazione di narcotraffico internazionale operante al porto di Gioia Tauro ha fatto emergere un sistema accurato che coinvolgeva diverse figure

Foto LaPresse

L’operazione che questa mattina ha smantellato l’organizzazione di narcotraffico internazionale operante al porto di Gioia Tauro ha fatto emergere un sistema accurato che coinvolgeva diverse figure. Dalle indagini emerge che, dopo l’indicazione ai referenti locali da parte dei fornitori sudamericani del nominativo della nave in arrivo e del contenitore con la sostanza stupefacente, l’importazione passava sotto la supervisione dei dipendenti portuali coinvolti, i quali si attivavano affinché il container ‘contaminato’ venisse sbarcato al momento opportuno e posizionato in un luogo convenuto.

Avuta la disponibilità dello stesso, i portuali lo mettevano in un’area sicura, appositamente individuata, per consentirne l’apertura e, quindi, lo spostamento della droga in un secondo container (abitualmente indicato dagli indagati come ‘uscita’) ritirato, nelle ore successive, da un vettore compiacente e trasportato nel luogo indicato dai responsabili dell’organizzazione.

Questa fase di trasbordo dello stupefacente, è stata denominata sistema del “ponte” dagli stessi portuali coinvolti. Nello specifico, individuata l’area di sbarco idonea allo scopo, il contenitore “contaminato” veniva posizionato davanti al contenitore “uscita”, lasciando trai due la sola distanza necessaria all’apertura delle porte per lo spostamento della merce illecita. Al di sopra dei due container, quindi, ne veniva adagiato un terzo, denominato appunto “ponte”, con lo scopo di celare, anche dall’alto, i movimenti nell’area sottostante. Una volta allestita l’area, al fine di non destare sospetti, i portuali infedeli venivano trasportati sul luogo delle operazioni, nascosti all’interno di un quarto contenitore, che veniva adagiato nella medesima fila ove era stata allestita la struttura. Infine, per evitare che soggetti estranei ai fatti intralciassero le operazioni illecite, due veicoli speciali adoperati per la movimentazione dei container, condotti dagli indagati, stazionavano ai lati della fila di contenitori ove era stato costruito il ponte, per impedirne l’accesso e monitorare, dall’alto, l’eventuale arrivo delle Forze dell’Ordine. Terminate le operazioni ai container venivano applicati sigilli contraffatti. A quello proveniente dal Sud America veniva apposto un sigillo “clone”, spedito dalla stessa organizzazione fornitrice ed occultato all’interno di uno dei colli contenenti la sostanza stupefacente, mentre al container “uscita” veniva apposto un sigillo fasullo, predisposto dalla compagine criminale incaricata del recupero del narcotico.

(LaPresse)

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