‘Ndrangheta: la guardia di finanza di Torino cattura un latitante in Calabria

L’arresto è avvenuto all’interno di un garage di un casolare nelle campagne di Caulonia

LaPresse31-03-2012 Firenze, Italia cronaca Blitz della Guardia di finanza e dell'Agenzia delle Entrate su Ponte Vecchio a Firenze, per controlli fiscali alle botteghe orafe. L'operazione è scattata stamani e ha riguardato la verifica di scontrini e ricevute fiscali. Nella Foto: La Guardia di Finanza su Ponte Vecchio

MILANO – La guardia di finanza di Torino, con il coordinamento della locale procura, ha portato a termine una complessa attività di indagine che ha consentito di eseguire una misura cautelare in carcere nei confronti di un latitante di origine calabrese, con interessi economici e imprenditoriali stabilmente radicati in provincia di Torino. L’arresto è avvenuto all’interno di un garage di un casolare nelle campagne di Caulonia (Reggio Calabria) dove è stato rintracciato nel cuore della notte. L’attività è stata eseguita dai finanzieri torinesi con i colleghi del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Reggio Calabria, con il supporto del Gruppo di Locri e della Sezione Aerea di Lamezia Terme.

L’uomo, secondo le indagini, è gravemente indiziato di concorso in associazione per delinquere di stampo mafioso e di reati di natura economica e tributaria. Risultava irreperibile dal dicembre 2021, quando era scattato un blitz dei finanzieri nell’ambito dell’operazione “Cavallo di Troia”, con otto misure cautelari per reati fiscali, fallimentari – aggravati dall’agevolazione mafiosa – e concorso con la ‘ndrangheta, con contestuali provvedimenti di sequestro per 2,5 milioni di euro.

Nel corso delle indagini sono state individuate 3 società operanti nel settore edilizio, ritenute essere al servizio di esponenti della ‘ndrina Bonavota, radicata nel territorio di Carmagnola (Torino) e collegata all’omonima cosca calabrese.

Gli indagati – tra cui il latitante arrestato – risulterebbero aver gestito le imprese, anche tramite l’utilizzo di prestanome, forti dell’appoggio fornito loro dalla cosca in grado di garantire importanti commesse per la realizzazione di opere nonché la ‘protezione’ in caso di difficoltà. Gli stessi, abbattendo fittiziamente i debiti tributari e previdenziali, avrebbero attuato anche una sorta di doping fiscale, risultando così avvantaggiati rispetto alla concorrenza. Sistematicamente, gli indagati depauperavano i patrimoni aziendali, lasciando da un lato le imprese in una situazione di completa spoliazione delle risorse, anche destinate al pagamento di stipendi e contributi dei dipendenti e, dall’altro, destinando parte dei profitti alla criminalità organizzata.

(LaPresse)

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