NOMI. Scacco al clan Gionta: 19 arresti. Catturata anche la moglie del boss a Torre Annunziata

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Gemma Donnarumma, Michele Guarro e Gaetano Amoruso

TORRE ANNUNZIATA – Una rete criminale ramificata, una gestione del territorio ferrea e un controllo che non lasciava scampo a chi voleva opporsi. A Torre Annunziata il clan Gionta dettava legge, capeggiato da Gemma Donnarumma, moglie del boss detenuto Valentino Gionta, considerata il vertice operativo dell’organizzazione. Secondo gli investigatori, era lei a orchestrare le attività illecite, riproducendo un modello
criminale simile a quello della ‘ndrangheta. La sua strategia si fondava su alleanze con altri clan e su un’organizzazione capillare fatta di silenzi imposti e di intimidazioni sistematiche.

Droga, estorsioni, armi e controllo del tessuto economico locale: il clan aveva messo radici in ogni settore, dalle pompe funebri ai bar, dalla torrefazione del caffè fino agli stabilimenti termali e balneari. Una pressione costante esercitata su imprenditori e commercianti, costretti a pagare il pizzo per poter lavorare. Dal 2015, il titolare di un’autoscuola ha continuato a subire richieste estorsive, fino a decidere di denunciare, una scelta ancora oggi rara in territori piegati dalla paura. All’interno del palazzo Fienga, storico fortino del clan, le forze dell’ordine hanno rinvenuto un vero deposito di armi da guerra. L’edificio, simbolo del potere camorristico e già destinato alla demolizione con un finanziamento governativo di sette milioni di euro, è ancora in piedi, a testimonianza di un contrasto alla criminalità che fatica a trovare pieno compimento.

L’indagine, condotta dai carabinieri di Torre Annunziata e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 indagati, 18 in carcere e uno ai domiciliari. Le accuse vanno dall’associazione mafiosa alla detenzione illegale di armi, dall’estorsione al traffico di stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso. Fondamentali per l’inchiesta le intercettazioni e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che hanno contribuito a far luce sui meccanismi interni al clan e sulle dinamiche criminali che ne hanno garantito la sopravvivenza negli anni. Gli inquirenti sono riusciti a ricostruire episodi estorsivi, traffici di droga, disponibilità di armi e collegamenti stabili con altre organizzazioni camorristiche dell’area vesuviana. Un’operazione che segna un colpo importante alla struttura del clan, ma che lascia intravedere quanto ancora sia radicato il potere della criminalità organizzata nel tessuto sociale ed economico del territorio.

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