Osanna, prog mediterraneo per i 50 anni de “L’uomo”

Vairetti: “Un concept album fra citazioni degli anni ’70 e tammurriate” . Le uscite: cd, libro e docufilm nell’anniversario dell’esordio

NAPOLI – Un cd (“Il Diedro del Mediterraneo”, da gennaio anche in vinile), un libro (“L’Uomo. Sulle note di un veliero”), un docufilm in dvd (“Osannaples”): così gli Osanna celebrano i 50 anni dalla pubblicazione del primo album “L’uomo”. Ne parla con “Cronache” Lino Vairetti, da sempre cantante e frontman del gruppo.

Come si articolano queste nuove uscite targate Osanna?

Film, disco e libro hanno vita autonoma ma fanno parte dello stesso progetto. Il libro scritto dal giornalista torinese Franco Vassia è edito da Iacobelli editore, mentre il disco è pubblicato dalla mia etichetta Afrakà. Il cd è interamente composto da brani inediti concepiti con la mentalità degli anni ’70: si tratta di un concept in quanto i brani sono legati da un tema specifico. Come avevamo già raccontato ne “L’uomo”, l’umanità ha creato grandi cose, ma ha anche rovinato se stessa e la Natura. Ho voluto trattare l’area mediterranea, culla di grandi culture, ma oggi territorio di guerra, profughi, malessere. Non abbiamo abbandonato i temi sociali: fare le canzonette non ci interessa. Nell’album ci sono citazioni di quel periodo: dai Procol Harum, precursori del prog, a Bob Dylan, a Jimi Hendrix, ai King Crimson. E anche a noi stessi, in particolare alla colonna sonora di “Milano Calibro 9”. Tutto riproposto in chiave moderna. Un brano, “Zuoccole e tammorre”, è una tammurriata molto rock, con la cantante popolare Fiorenza Calogero come ospite. La canzone è preceduto dalla poesia di Totò “Zuoccole, tammorre e femmene”, recitata da Francesco Paolantoni. Quest’anno è morto il nostro chitarrista storico Danilo Rustici e tutti i lavori sono dedicati a lui.

Ci sono differenze fra gli Osanna di oggi e quelli di 50 anni fa?

Sicuramente. Oggi siamo un gruppo proiettato verso un futuro nonostante attinga dal rock progressivo. E’ inutile scimmiottare le nuove tendenze musicali: saremmo ridicoli. Nei ’70 c’era un’esplosione di controcultura, che ci ha aiutato a guardare sempre la società criticamente invece di approfittarne: oggi, invece, tutti i musicisti cercano di buttarsi a fare rap e trap. Certo, sono felice che i Maneskin abbiano successo perché è un gruppo che suona davvero e non lavora su basi.

E con i loro travestimenti in qualche modo si ispirano alla vostra scena…

Sicuramente loro hanno attinto al patrimonio culturale del rock anni 60 e 70: il live è la cosa principale. Noi siamo stati i primi nel 1971 a truccarci i volti; i Genesis che hanno fatto un tour con nel 1972, ci hanno fatto i complimenti e poco dopo Peter Gabriel ha iniziato a truccarsi anche lui. Ma sono solo possibili citazioni.

La musica dal vivo è ripartita, ma con il freno a mano tirato a causa dell’emergenza Covid. Voi come vi state adattando?

Quest’estate siamo stati fortunati: ai festival di rock progressivo gli inglesi erano assenti per il blocco delle frontiere, quindi abbiamo partecipato a tutti. D’inverno diventa più problematico e stanno saltando una serie di impegni.

Meglio gli anni ’70 oppure oggi?

Per me oggi. Sono fortunato ad aver vissuto da protagonista i ’70, un momento straordinario. Oggi è un periodo di grandi contraddizioni, ma il mondo è andato avanti: abbiamo una tecnologia che ci aiuta molto, anche se usata male.

Ma oggi contro cosa vale la pena ribellarsi?

Contro il potere economico che sta ancora massacrando la povera gente. Ormai ci sono solo povertà e ricchezza: questo mondo è straordinario dal punto di vista tecnologico, non da quello sociale. Ci vorrebbe ancora oggi una grande rivoluzione, ma è difficile, non c’è la determinazione necessaria.

C’è qualche artista attuale che ti ricorda gli Osanna?

Ci sono una serie di giovani che fanno rock progressivo con grande amore, li incontri ai festival. A Napoli c’è una chitarrista 25enne, Maria Barbieri, che suona alla Robert Fripp ed è sbalorditivo che ci siano dei giovani che fanno questo. Mi piace che questa misucista sia fuori contesto, in un panorama in cui i ragazzi napoletani non fanno altro che rappare.

Come nasce il libro?

Ho raccontato a Franco Vassia tutta la mia vita, lui ne ha fatto un riassunto poetico. Mia madre era una camiciaia che lavorava per molti artisti, anche Lucio Battisti è stato fra i suoi clienti durante un soggiorno di 6 mesi a Napoli. Vivevamo in difficoltà economiche e abbiamo peregrinato fra varie case. Al Vomero per circa un anno abbiamo vissuto nel nostro negozio perché mia madre non riusciva a pagare anche il fitto di casa. Eppure non ho mai vissuto l’idea della povertà, per me la vita era quella. E i miei mi hanno sempre incentivato.

Napoli per te è stata più un limite o un’opportunità?

Per noi è stata una grande opportunità: la nostra napoletanità è stata un valore aggiunto. Siamo riconosciuti a livello internazionale in quanto napoletani: quando andiamo in Giappone, per loro sono importanti le tammurriate e le tarantelle rock.

A Napoli l’amministrazione comunale uscente si è dedicata molto agli artisti, ma sempre agli stessi. Che rapporto avete con le istituzioni cittadine?

Nel 2015 ho appoggiato De Magistris, che vedevo come un Masaniello moderno, ma ho avuto più sostegno dall’allora assessore Nino Daniele, un fan degli Osanna. A Napoli ho difficoltà a suonare, c’è una lobby e io non ne faccio parte. Ma non me ne frega nulla, se poi andiamo a esibirci in Giappone.

Perché c’è stato uno stop di 20 anni nella storia degli Osanna?

Ci furono contrasti interni al gruppo, che nel 1975 si sciolse. Nel 1978, con Danilo Rustici e Massimo Guarino, formammo un’altra band, poi Danilo andò in America, tornò dopo quasi 20 anni e ci riformammo. In seguito, però, ebbe gravi problemi di salute e finì in coma, rimanendo praticamente paralizzato, fino alla morte. Mi sono ritrovato senza di lui dopo aver investito una barca di soldi nel gruppo, ma ho deciso di portare avanti gli Osanna. Nel 2009 abbiamo fatto l’album “Prog family” con la nuova formazione e al sax David Jackson dei Van der Graaf Generator. Con questa line up siamo andati a suonare in diversi Paesi, dal Brasile al Messico fino al Giappone: molti di più rispetto agli anni ’70.

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