Sono più di settant’anni che l’Europa non patisce più il dramma di un conflitto armato. La pace è un bene inestimabile, che, nel Vecchio Continente, è frutto di una politica di benevolenza, disponibilità e scambi commerciali. Si è realizzata, in tal modo, la previsione dell’intellettuale francese Benjamin Constant che, nell’Ottocento, scrisse: “Sulle frontiere ove passano le merci, non passano i cannoni”, intendendo dire che i commerci sviluppavano sia una reciprocità di interessi tra le nazioni, sia il convincimento che la pace è la condizione essenziale per poter sviluppare la cooperazione. Ma a ben vedere, per quanto riguarda l’Europa e segnatamente l’Italia, la pace è anche il frutto di un diffuso sentimento popolare, oltre che un precetto costituzionale di ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie tra gli Stati. Saremmo però ipocriti a non ammettere che la scelta fatta da Roma, in politica estera, fin dalla nascita della Repubblica, si rivelò poi anche determinante per la durata stessa della “quiete”.
La mossa Atlantica fatta da Alcide De Gasperi di collocare il Belpaese nella Nato, per capirci, costituì il cardine intorno al quale l’Italia fu protetta da ogni aggressione ed ingerenza esterna. Questa scelta, ai suoi albori, determinò la rottura del patto costituzionale e di governo tra marxisti e liberali. Tuttavia molti furono i leader ed i partiti che ebbero poi a ricredersi, fino ad accettare di mettersi sotto l’ombrello del patto atlantico. Parimenti accese, nonché strumentali, si rivelarono, in quegli anni, anche le proteste a senso unico dei pacifisti nostrani che contestarono l’uso delle basi italiani da parte delle forze armate statunitensi. Anche queste proteste andarono, via via, sopendosi. Accadde quando il pacifismo non servì più come strumento di contestazione degli Usa e del Capitalismo. In un’epoca a noi più vicina, tale “visione” è però risorta in uno con l’ecologismo ed il progressismo, come tratto distintivo dei nuovi partiti che a sinistra gli ex comunisti andavano, nel frattempo confezionando. In sintesi, il termine pacifista è stato utilizzato prevalentemente per specificare un’aggettivazione politica di parte più che identificare un movimento trasversale ed autonomo corrispondente alla predisposizione naturale della società a vivere in pace. Insomma: una foglia di fico per nascondere ben altro e magari da utilizzare all’occorrenza insieme agli immancabili appelli sottoscritti dai pensosi “maître a penser”, intellettuali organici e militanti politicamente schierati. Ora che in Medio Oriente soffiano i venti di una guerra che si trascina da oltre trent’anni, c’è da giurare che le bandiere arcobaleno rispunteranno per garrire sui pennoni più disparati contro l’imperialismo statunitense.
Sventoleranno forti per decretare, ancora una volta, l’inaffidabilità di Donald Trump, equiparato ad una sorta di “dottor Stranamore”, come nel famoso film nel quale un generale giocava con le bombe atomiche. Insomma tutto il vecchio e bel repertorio dei pacifisti a senso unico. Pronti a strumentalizzare finanche la morte di Soleimani, un generale iraniano che stranamente operava in Iraq, ritenuto mandatario di migliaia di rapimenti e di omicidi di iracheni di religione sunnita e pertanto invisi agli ayatollah sciiti. È difficile non pensare che la funzione veramente svolta da quell’ufficiale, eliminato dagli Usa, fosse un’opera contraria alla stabilizzazione ed alla pacificazione dell’ex paese di Saddam Hussein. Giova ricordare che in Iraq si sono compiuto atroci massacri prima che le forze internazionali di pace consentissero l’avvio di un governo democratico. Si proprio così: un governo che sarà bene ricordare, è un raro esempio di democrazia parlamentare in una regione zeppa di satrapi e dittatori. Un contesto nel quale gli iraniani sguazzano da anni, arricchiscono uranio per dotarsi dell’atomica mentre, sul fronte interno, reprimono ogni anelito di libertà applicando una legge coranica degna della Santa Inquisizione. In quella area, fin dai lontani anni ’80 del ’900, il governo di Teheran, che pure non ha mai alzato un dito contro il terrorismo islamico, svolge un ruolo destabilizzatore. Eppure prepariamoci a vederlo descritto come povera ed inerme vittima dell’imperialismo americano, aggredito dalle nevrotiche bizze di un leader statunitense che deve considerarsi frutto di un “incidente elettorale”. Gli italiani non sono disposti a sposare tesi di principio in casa loro, figurarsi all’estero: alla fine indosseranno il vestito comodo dei pacifisti dimenticando che la forza degli Usa ha costituito per oltre mezzo secolo il sicuro ombrello sotto il quale siamo cresciuti e pasciuti!