S. CIPRIANO D’AVERSA – Con la politica locale, ora, Orlando Diana, indagato per associazione mafiosa, almeno su carta, non ha più nulla a che fare: l’ultima sua apparizione in Consiglio risale al 2012. Altra epoca: a guidare il municipio c’era Enrico Martinelli, cugino dell’omonimo boss della fazione Schiavone. E per la comunità furono tempi bui: quell’esperienza amministrativa finì malissimo. Martinelli, al suo secondo mandato, venne arrestato il 14 marzo e il Comune, cinque mesi dopo, sciolto per infiltrazione mafiosa (era il 14 agosto 2012).
Tornando al presente, distaccandoci per un po’ dalla forma, possiamo dire che Orlando Diana, in realtà, indirettamente, incide ancora nella politica locale. Per quale ragione? Vive sotto lo stesso tetto dell’attuale presidente del consiglio comunale, Giuseppina Barbato (è la moglie). Una circostanza non di poco conto, che potrebbe anche far piombare a S. Cipriano d’Aversa una commissione d’accesso.
L’abitare insieme, per carità, non è condizione sufficiente a dimostrare che le scelte amministrative della donna siano condizionate dal consorte (e dal suo ipotetico peso criminale). Ma a conferma di un non disinteressamento del Diana dalla politica, alcuni residenti che hanno seguito le recenti vicende elettorali (sfociate l’anno scorso nella presentazione di una sola lista, e cioè quella dell’attuale sindaco, Vincenzo Caterino), ci hanno confidato che ad avere un ruolo attivo soprattutto nella fase del pre-voto più che la Barbato sarebbe stato il marito.
Approcci diversi
Se l’Italia fosse stata quella di dieci anni fa, la prefettura di Caserta avrebbe già inviato una commissione d’accesso a San Cipriano d’Aversa. Lo avrebbe fatto per verificare se la mafia, proprio attraverso Diana, che ha la consorte seduta in maggioranza, anche solo in potenza fosse stata in grado di insinuarsi nella gestione dell’Ente. L’Italia di oggi, invece, sul tema ha un approccio totalmente diverso. Meno impulsivo, più moderato e soprattutto desideroso di non dare l’impressione che in Terra di Lavoro politica e clan camminino, dopo anni di lotta alla criminalità organizzata, ancora tranquillamente a braccetto. E così prima di attivare una procedura del genere, che, chiariamolo, non punta a colpevolizzare, ma è soprattutto preventiva (va ad appurare se ci possano essere o meno eventuali infiltrazioni mafiose), il Viminale ci pensa non due, tre o quattro volte, ma mille.
Coop e clan
Nelle carte dell’inchiesta (ancora in corso) che tira in ballo il Diana, nella quale viene ritenuto uno dei riferimenti del clan dei Casalesi nel business delle cooperative sociali, gli investigatori della Squadra mobile di Caserta, coordinati dalla Dda di Napoli, si sono soffermati sui suoi trascorsi amministrativi hanno ricordato che è stato consigliere dal 2004 al 2012, e che, stando a quanto riferito dai collaboratori di giustizia, in quel periodo avrebbe rappresentato gli interessi del padrino Michele Zagaria sul Comune. I poliziotti hanno sottolineato, inoltre, che a garantirgli entrature politiche ora potrebbe essere proprio la coniuge. E, seguendo ancora la tesi della Mobile, la permanenza di Diana (diretta e indiretta) all’interno degli ambienti amministrativi locali gli ha permesso nel tempo di crearsi rapporti che ha sfruttato poi nel percorso imprenditoriale. Perché Diana, chiusa la parentesi politica (quella condotta in prima persona), da titolare di un’azienda bufalina e commerciante di dolci, nel 2015 si è tuffato nel Terzo settore (i servizi socio-assistenziali) attraverso la cooperativa Il Volo e relazionandosi con altre società, il tutto sotto il cappello della mafia locale. Ipotesi pesanti, tutte ancora da dimostrare, che al momento sono sfociate soltanto in perquisizioni (scattate la mattina dello scorso 10 dicembre). Diana è da considerare innocente fino a prova contraria e la moglie, Giuseppina, chiariamolo, è estranea al tema dell’attività investigativa della Dda sulle coop.
Parentele ‘pesanti’
La Mobile, nel tracciare il personaggio Diana, ha messo nero su bianco anche i suoi legami familiari diretti e indiretti con esponenti del clan dei Casalesi. Il fratello Francesco è sposato con Rosanna Barone, sorella del pentito Michele Barone, ex affiliato della fazione Zagaria. Orlando è pure cugino di Francesco Zagaria, conosciuto come Ciccio ‘a benzina, defunto marito di Elvira Zagaria, sorella del capoclan Michele, considerato l’addetto della cosca ad intrattenere i rapporti con i politici campani. Anche la moglie, Giuseppina Barbato, ha tra i suoi parenti un ex affiliato: è cugina del pentito Francesco Barbato, alias ‘o sbirro, fino al 2010 braccio destro di Nicola Schiavone.
Orlando Diana a parte, a rendere ipotizzabile l’arrivo della commissione d’accesso a San Cipriano d’Aversa c’è anche un altro aspetto: il fratello della consigliera Stefania Parola, Francesco, 30enne, nel 2019 è stato coinvolto in un’indagine della Dda per reati di mafia in relazione alla quale è stato pure già condannato in primo grado (per estorsione aggravata): a breve affronterà l’Appello. I rapporti tra l’imputato, che ora vive a Castelvolturno, e la famiglia della consigliera non sono idilliaci (non si frequentano da tempo). Ma il legame di sangue potenzialmente rappresenta un ulteriore elemento che potrebbe spingere la prefettura ad avviare un’azione di verifica sulla gestione del Comune.
A contornare il tutto si aggiungono i ‘ponti’ politici tra l’attuale maggioranza e quella dell’epoca Martinelli: Antonio Coppola, oggi assessore, è lo zio di Armando che ha fatto parte della consiliatura sciolta per infiltrazione mafiosa.
Messi tutti gli elementi uno dopo l’altro, i presupposti per spingere chi di dovere ad attivarsi per capire se e quanto il Comune sia permeabile alla mafia locale ci sono. Un’azione che servirebbe a tutelare il sindaco e chi con lui guida da oltre un anno e mezzo San Cipriano d’Aversa.
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