Pd, Giano bifronte

All’inizio di ogni campagna militare, gli antichi romani erano soliti proferire la seguente frase: “si sono dischiuse le porte del tempio di Giano”. Dedicato alla divinità più famosa, ritenuta benevola e protettrice per l’Urbe fin dalla sua fondazione (il 21 aprile del 753 avanti Cristo), tale sacra struttura restava, infatti, aperta per tutto il periodo bellico così da accogliere le offerte votive del popolo in armi. La mitologia narra che la testa di Giano fosse rappresentata dagli scultori con due facce speculari: una rivolta in avanti, l’altra indietro, essendo quella divinità ritenuta in grado di poter orientare ed influenzare tanto il futuro che il passato. Giano era considerato un vero e proprio protettore di Roma ed il mito gli attribuiva la capacità di sovrintendere all’inizio di ogni attività. Dai tempi di Romolo e Remo ad oggi è possibile ritenere che, nella Capitale d’Italia (sede della politica nazionale) quel mito abbia ancora molta credibilità per qualcuno. Questo non tanto per l’uso della “doppia faccia” come elemento distintivo di un modo di fare che si contraddice e si adatta secondo le circostanze del momento, quanto per la caratteristica che, nell’ultimo quarto di secolo, ha animato i politici di casa nostra in una sorta di continuo e convulso divenire. Intendiamoci. Sia il versante di destra che quello di sinistra ha più volte adeguato simboli ed aggregazioni anche sull’onda lunga delle convenienze dei vari sistemi elettorali adottati. Ma non è tanto questo l’elemento più deprecabile quanto i repentini cambi di visioni e di politiche programmatiche sempre più distanti ormai dai valori fondativi dei partiti di provenienza. In parole povere: in politica estera la sinistra da marxista ed anti atlantista è diventata socialdemocratica (attraverso varie parole d’ordine come Progressismo, Ecologismo, Democraticità, Europeismo) e schierata con la NATO, mentre la destra, pur rimasta ancorata ai valori di un liberalismo di facciata, una volta al governo, ha rinverdito le gesta dello Stato onnipresente ed onnipotente, dei suoi monopoli, di una burocrazia anonima ed irresponsabile, dell’assistenzialismo statale. Insomma lo stesso dagherrotipo utilizzato da entrambe le aree politiche nell’arte di governare. La crisi dei valori e la perdita dei punti di riferimento, nella visione socio economico generale, ha generato lo smarrimento delle idee e delle stesse finalità peculiari che pure avrebbero dovuto distinguere i contendenti innanzi agli elettori. Peggio ancora col Rosatellum che, mischiando maggioritario e proporzionale, ha espropriato i votanti dai benefici di scelta previsti dal sistema maggioritario, lasciando mano libera ai partiti di gestire il consenso come a loro meglio piacerà dopo lo scrutinio. Insomma: maggioranze variabili con il presupposto che ciascuno potrà fare quel che vuole sulla base del voto raccolto sulle liste proporzionali, quelle che esaltano le singole identità e garantiscono la politica delle “mani libere” nel dopo voto. Ma, in queste ore, a riportare le cose indietro nel tempo, affinché ci sia una palingenesi retroattiva, volta a ripristinare pulsioni e progetti di antica data, sotto la protezione di Giano Bifronte, ci ha pensato il vecchio campione post comunista emiliano Pierluigi Bersani. Costui, per quanti non lo conoscessero, è passato negli anni della metamorfosi del Pci per tutte le sue fasi, dalle cooperative rosse alle “lenzuolate” di decreti pseudo liberali, dal centralismo democratico all’approssimativa e manipolabile democrazia decisionale delle “primarie” fino a farsi rottamare (insieme a Massimo D’Alema) da Matteo Renzi, allora astro nascente del Pd. Emigrato in una costola della Sinistra, poi dissoltasi nel breve giro di una legislatura, nel suo passato, Bersani ha “occupato” anche le poltrone di vari importanti Ministeri sotto i governi di D’Alema, Amato e Prodi (per quest’ultimo è stato allo Sviluppo economico). Come un moto perpetuo, in piena campagna elettorale, ovviamente alla festa dell’Unità, ultimo simulacro di adunanza di massa rimasto del vecchio partitone rosso, il nostro ha fatto “outing” rammaricandosi di aver non aver realizzato le larghe intese con il M5S, confermando così che il secondo governo Conte, a trazione dem, aveva ben operato e soddisfatto la base della sinistra!! Insomma: Bersani è arrivato ad auspicare un nuovo inizio tornando indietro verso politiche assistenziali (leggi clientelari) ad oltranza, la solita cantilena sulla distribuzione della ricchezza prodotta da chi lavora a chi neanche lo cerca un lavoro e comunque non ha obbligo di doverlo fare. Un asse con i grillini duri e puri in nome di un soccorso alle classi disagiate e con il rimante universo mondo che può anche andare a farsi friggere!! Per dirla tutta: in una società moderna che si interessa tanto di chi produce ricchezza e tanto di coloro che non possono lavorare, Bersani ripropone un’anacronistica visione della società e della funzione dello Stato, in sintesi una guerra alla ricchezza senza tregua con vecchi arnesi ideologici. A Roma, con Bersani e Grillini sotto braccio, resteranno ancora aperte le porte del tempio di Giano.

*già parlamentare
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