PECHINI (Cina) – E alla fine arriva il momento dei bilanci. Il team event di sci alpino non regala l’ultimo colpo di coda a un’Olimpiade ricca di soddisfazioni per l’Italia, che chiude con 17 medaglie una spedizione in cui non è mancato niente, dalle sorprese alle conferme, dalle imprese alle polemiche. Alla carenza di ori – solo due, il doppio misto di curling e Arianna Fontana nei 500 di short track – fa da contraltare il numero complessivo di medaglie – solo nella celebre edizione di Lillehammer 1994 (20) gli azzurri hanno fatto meglio. Soprattutto, il Team Italia è riuscito a salire sul podio in otto discipline diverse. Solo Russia, Canada e Norvegia (9) hanno fatto meglio. Se poi si allarga il discorso anche a Tokyo 2020 l’Italia è settima con 57 podi, dietro Stati Uniti, Cina, Russia, Gran Bretagna, Germania e Giappone, mentre per discipline andate a medaglia, è addirittura terza dietro soltanto a Stati Uniti e Russia. Un aspetto su cui il presidente del Coni Giovanni Malagò insiste particolarmente. “E’ evidente che noi siamo multidisciplinari come non lo è nessuno. Sotto il profilo qualitativo del medagliere questo può essere un elemento di debolezza, ma sotto quello della cultura sportiva questo è un valore aggiunto che noi abbiamo”, evidenzia da Casa Italia a Pechino nella conferenza stampa di fine Giochi. Guardando ai numeri, rispetto a quattro anni fa il salto in avanti è notevole. La crescita da PyeongChang è del 70% (solo la Russia ha fatto meglio), con il boom degli sport sul ghiaccio, che hanno raddoppiato il bottino del 2014 salendo da 4 a 8 medaglie, primato assoluto alle Olimpiadi.
“Sotto il profilo quantitativo la spedizione è stata da record. In queste recenti edizioni si può dire che gli italiani sono molto bravi e molto bravi a vincere medaglie che non a vincere l’oro”, ammette il numero uno del Coni, che dà un voto di 7,5 mettendo insieme “preparazione olimpica, comunicazione, tutta la parte di Casa Italia e gli atleti. Poi c’è stata qualche polemica che ha contraddistinto le nostre giornate – ha ricordato – però mi sembra che viene riconosciuto anche e soprattutto dai miei colleghi che l’Italia ha molto prestigio nel mondo dello sport”. Ancora una volta, i Giochi di Pechino 2022 vanno declinati al femminile. Tra i 19 medagliati, 9 sono atleti, 10 atlete, per un totale di 52,94% di medaglie femminili, 29,41% maschili e 17,65% miste. A livello territoriale i podi sono arrivati da sette regioni, con la Lombardia a dettar legge per la seconda volta di fila. Le quattro aree che raccolgono l’85% delle medaglie sono proprio la Lombardia, il Veneto e le province di Bolzano e Trento. Ovvero le zone che raccoglieranno il testimone da Pechino in vista delle Olimpiadi nostrane del 2026.
Proprio guardando a Milano-Cortina Malagò dedica un’ulteriore riflessione. Se da un lato l’età media dei medagliati, 26 anni, “è un ottimo segnale”, dall’altro è evidente che ci sia un problema di ricambio generazionale. Da Federico Pellegrino a Dorothea Wierer, passando per Arianna Fontana fino alle stelle dello sci alpino Dominik Paris, Sofia Goggia e Federica Brignone, tutti i volti azzurri degli sport invernali nel 2026 avranno superato abbondantemente ‘quota 30’. Una moral suasion di cui si occuperà il numero uno del Coni in prima persona che andrà affiancata a un percorso di crescita di giovani talenti. A tal proposito però sarà necessario fornire alla Fisi e alla Fisg “un contributo straordinario proprio per pianificare questi quattro anni al meglio. A parole sono mesi che ogni settimana è buona per sbloccare la situazione, ma siamo già in ritardo e fuori tempo massimo”, avverte Malagò, che punta a formare ragazzi tra i 15 e i 18 anni che “vanno messi nelle condizione di essere in ritiro permanente, ma per far questo servono finanziamenti”. Proprio come accaduto vent’anni fa per Torino. Altrimenti “non sarà neanche semplice ripetersi, al di là della qualità delle medaglie”. La missione verso Milano-Cortina inizia dai punti di forza e dalle lacune emerse proprio a Pechino.
(Alberto Zanello/LaPresse)