A poche settimane dall’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, iniziano a distinguersi le intenzioni del suo nuovo governo di centrodestra. Avevamo, da queste stesse colonne, presagito che, per smuovere le acque del pantano nel quale sguazza il Belpaese, occorressero meno proclami rivoluzionari e qualcosa di più concreto nell’agire ed, ancor più (guardando alla complessità dei massimi sistemi), una gran dose di liberalità più che di sciovinismo nazionalistico. Insomma: meno gagliardetti e stivaloni e più consapevolezza che la crisi si risolve cambiando il modo di guardare le cose, nel senso dei fini ultimi da raggiungere. In sintesi: occorre evitare lo statalismo della destra sociale (che somiglia maledettamente a quello della sinistra) e attingere alla visione liberal democratica della politica con un approdo economico basato sul libero mercato di concorrenza. Se questa visione viene condivisa dal governo, ne dovrebbe conseguire una modalità che tenga conto della causa prima dei problemi italiani: ossia la riforma della pubblica amministrazione con l’inserimento del merito al posto dell’anzianità, dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi resi ai cittadini. Il tutto secondo il metodo legislativo che prevede l’adozione di atti di governo e del parlamento debitamente forniti di copertura finanziaria. Tuttavia l’intera manovra di Bilancio che ci prospetta la Meloni appare tra le più classiche di quelle stataliste e clientelari, con un costo di 30 miliardi quasi tutti presi a debito. Per capirci, la solita solfa: quella di governare con le leva della spesa a debito crescente. “Mentre a Roma si discute Sagunto viene espugnata”, avrebbe ridetto lo storico romano Tito Livio, per evidenziare la circostanza che, mentre ci si propone di modificare il sistema istituzionale, economico e sociale, il debito statale continua a finanziare qualunque azione di governo. Ora, se questo poteva concepirsi durante il periodo pandemico, sotto i governi Conte e Draghi, come una necessità straordinaria sostenuta con i soldi della BCE, oggi appare una scelta in continuità con il passato. Come si possano conciliare i cambiamenti, senza modificare gli atteggiamenti e come possa farlo la politica, non è dato comprendere. D’altronde misure come l’aumento del contante, un ulteriore scudo fiscale per il rientro dei capitali dall’estero e la conferma del reddito di cittadinanza (senza lavoro), ci avvertono, presaghi, di un comportamento, sul piano economico, di vecchio stampo. Un “dejavu”, per dirla con altre parole, che lascia intravedere una matrice di continuità più con I maneggioni che con gli statisti. . Che sia la visione di uno stato che resti onnipotente ed onnipresente, di tipo cripto socialista che ha ispirato i governi di centrosinistra dagli anni Ottanta del secolo scorso, al quale si sostituisca uno di tipo nazionalista e sovranista, vagheggiato dalla destra sociale, il risultato non cambia. A debito crescente hanno governato i primi ed a debito crescente governano i secondi, con le contraddizioni di fondo che accomunano entrambe le tipologie di concezione dello Stato. La parola d’ordine dei primi, infatti, è l’egualitarismo sociale finanziato dalle casse del pubblico, quella dei secondi il populismo sociale, muscoloso e sbrigativo, un apparato che trova nell’incremento del debito la propria fonte di sostentamento. La gente comune, priva di cultura oltre che di interesse verso la politica, non percepisce questa lettura palindroma delle res publica. Lo stesso dicasi per la maggior parte dei parlamentari di casa nostra, che trovasi nelle stesse condizioni di “ignoranza”. Per farla breve: la modalità con la quale oggi si governa potrebbe essere metodologicamente la medesima del passato , pur partendo da presupposti diversi. Al cosiddetto popolo interessa la pancia piena,la casa calda ed un buon salario. Meglio ancora se corroborato da lavoro nero e assistenza statale. Ai politici, di converso, preme garantirsi il consenso elettorale del momento. Se questo è il brodo di cultura nel quale cresce e pasce chi vota, chi lo rappresenta non può che somigliargli. Un’ovvietà, quest’ultima, che gli italiani fingono di ignorare perché in contrasto con la loro vocazione opportunistica oltre che coincidente con la menzogna di ergere i cittadini ad una dimensione di candore e d’innocenza esecrando, di converso, l’azione degli eletti in parlamento . Certo vanno bene il taglio del costo del lavoro, una migliore gestione dei migranti (coinvolgendo la Ue), una revisione della legge Fornero sui requisiti per il pensionamento dei lavoratori, ma sono atti di piccolo cabotaggio nel vasto mare delle priorità e delle necessità che affliggono la nostra nazione. Ridurre le bollette di luce e gas è cosa buona e giusta ma da uno stato autorevole ci si aspetterebbe che possa porre limiti e soprattutto tassare la speculazione che è poi la base del fenomeno. Insomma qualcosa di più che non sia il solito tirare a campare.
*già parlamentare
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